ORIZZONTI POSTURALI - POSTURA E DOLORE VISCERALE, RIFLESSI VISCERO SOMATICI
QUANDO LA POSTURA È UNA QUESTIONE DI “PANCIA”
POSTURA E SECONDO CERVELLO: SCOPRIAMO I COLLEGAMENTI
Inattesi segnali che provengono e migrano nel nostro corpo, con sfumature a volte dolorifiche, termiche, urenti, puntiformi, crampiformi, lancinanti, pulsanti: tali e tanti sono i segnali che nel soma prendono espressione. Oggi vorrei chiarire e indagare un po’ più dettagliatamente i cosiddetti riflessi viscero somatici, che a volte ci traggono in inganno nell’analisi muscolo-scheletrica posturale.
LA DEFINIZIONE: IL RIFLESSO VISCERO SOMATICO COSA EVIDENZIA?
È una risposta sensitiva data dall’irritazione di un organo o viscere, di cui avvertiremo un dolore riferito ad un muscolo. Le patologie viscerali comunemente associate con tale reazione di difesa comprendono ad esempio la conosciuta colica renale oppure il dolore da diverticolite, mentre un’altra forma di riflesso viscero somatico si trova nei muscoli paraspinali: tali aree, ove si raccolgono le afferenze del tono muscolare ed i cambiamenti vasomotori, sono attivate dall’irritazione viscerale acuta e cronica. I riflessi viscero somatici nei muscoli paravertebrali si presentano come cambiamenti nella consistenza dei tessuti, alterazioni della temperatura cutanea ed una limitata escursione articolare, asimmetria posizionale meccanica del livello vertebrale (metamerico) interessato, con corrispondente ipertono e ipersensibilità sulla vertebra stessa (molte volte sul processo spinoso); il perché è nella conoscenza del SNC e SNA.
UN PASSO INDIETRO: BREVE FISIOLOGIA DEL RIFLESSO VISCERO SOMATICO
Le vie riflesse del SNA sono costituite da neuroni sensitivi afferenti, interneuroni posti nel SNC e neuroni efferenti autonomi, che innervano i tessuti periferici trasmettendo le risposte degli input sensoriali in entrata. Gli stimoli afferenti possono avere diverse caratterisiche: viscerali (tramite il nervo vago) elaborati dai nuclei del tronco encefalico (nucleo del tratto solitario), o somatici (nocicettivi) elaborati dai neuroni del midollo spinale. I neuroni pre-gangliari ortosimpatici e parasimpatici sono attivati dagli interneuroni per produrre le risposte riflesse autonome. Un esempio è la contrazione della muscolatura liscia vascolare per produrre variazioni della pressione sanguigna ed aumento del ritmo e della contrattilità cardiaca. All’interno del corno ventrale vi sono gli interneuroni che innervano le colonne dei neuroni motori, quindi le colonne laterali controllano i muscoli appendicolari e le colonne mediali quelli assiali. La forma del corno ventrale cambia in base al livello di midolli spinale in cui ci si trova. Le informazioni provenienti dalle afferenze primarie attivano la formazione reticolare del tronco dell’encefalo. Gli stimoli discendenti provenienti dalla formazione reticolare sono più forti nelle colonne mediali, dove sono rappresentati i muscoli assiali. In pratica, il dolore agisce sulla formazione reticolare, la quale a sua volta, opera sui muscoli assiali. Questi ultimi rispondono all’aumento della stimolazione spinale modificando il tono muscolare. Quindi, i cambiamenti di tono provocati dall’irritazione viscerale, possono essere palpabili nei muscoli della schiena e dell’addome. Sebbene il numero delle informazioni afferenti viscerali che si collegano al Midollo spinale siano considerevolmente minori, mostrano un’alta qualità di propagazione nocicettiva. Tali riflessi sono innescati da una parte da stimoli dolorifici delle componenti viscerali, ma anche da componenti muscolari (contratture, alterazioni di ipertono muscolare, determinate da qualsiasi causa: da quella posturale o da quella meramente biomeccanica) innervate da nervi somatici che fanno riferimento al solito segmento midollare spinale che integra lo stesso afflusso delle afferenze viscerali; in parole più semplici, un’alterazione fisiologica di un viscere come lo stomaco può determinare alterazione delle componenti vertebrali T4-T8 (dalla quarta all’ottava vertebra toracica), con dolori riferiti alla zona retrosternale, oppure nella fisiopatologia colecistica (coliche biliari) si verifica in zona epigastrica coinvolgendo posteriormente scapola e spalla dx. Ti faccio un altro esempio, il più conosciuto da tutti a livello medico, l’evento acuto di un attacco cardiaco (infarto del miocardio): si manifesta con un dolore riflesso, oltre che retrosternale, alla spalla sinistra e al braccio sinistro, talvolta irradiato anche alla mandibola. Perché? Appunto per questi riflessi viscero-somatici. Ogni passo avanti nella lettura delle relazioni esistenti tra viscere, cute (vedi precedente articolo), muscoli è stato svolto dalle Neuroscienze, soprattutto riguardo la connessione del Sistema nervoso Somatico e il Sistema Nervoso Autonomo nella definizione del metamero vegetativo e dell’analisi dei riflessi viscero somatici che possono condurre ad alterazioni della nostra Postura. Qui di seguito vorrei solo dare alcune osservazioni-esempi, partendo dal comune e frequente mal di schiena, che possono portarci a riflettere con meno superficialità sulle problematiche che come operatori ci troviamo ad affrontare quotidianamente, ricordando l’importanza del valore primario dell’indagine medica ab initio.
1. Nelle lombalgie collegate al colon si notano ad esempio:
• disfunzioni sulle sacro-iliache
• disfunzioni alla cerniera lombo-sacrale e lombalgie
• disfunzioni vertebrali di solito su L2 e L3 (non sono però tipiche)
• problemi meccanici a possibile causa/concausa colica
• dolori recidivanti all’articolazione sacro-iliaca, non su base meccanica
• blocchi recidivanti lombari e lombo-sacrali non su base meccanica, anche con sciatalgie (di solito tronche)
• cruralgie e pseudo gonalgie, tensioni riflesse su tfl e tratto ileo tibiale
• coxalgie non su base artrosica/meccanica
2. Nelle lombalgie collegate ai Reni:
• alterazioni componente vertebrale e paravertebrale in D12-L1 e L2 e L3 (pilastri diaframmatici) - Sacro - Pube ( pseudo-pubalgie )
• metameriche: - D11-D12 e articolazioni costo/vert. da D10 a D12 - L1 - L2
• muscolari: stato di contrattura dei paravertebrali
• a distanza (in caso di ptosi renale) - 12° nervo intercostale - Nervi del plesso lombare
3. Sintomatologie legate all’apparato genitale femminile che si ripercuotono sul Soma:
• dolore/peso addominale basso e sovra pubico
• zampa d’oca pastosa e dolente (congestione pelvica)
• iperestesie «a slip»
• algie sulla faccia esterna delle cosce
• cruralgie e dolori pseudo pubalgici (faccia interna della coscia)
• dolore lombo-sacrale e su SI (necessita di Diagnosi Diffrenziale)
• punti di Chapman (riflessi neurolinfatici-posteriori D12 e lombosacrali)
• dolori, rigidità e disfunzioni del distretto vertebrale D11-L2
• tensioni a livello dei muscoli TFL (mono o bilaterali)
• fissazioni coccigee
• lombosacralgie «a slip» che possono irradiarsi lungo la faccia esterna delle cosce.
Questi sono solo alcuni degli innumerevoli spunti che potremmo trovarci ad osservare. L’intento è l’approfondimento e la ricerca dei messaggi che il nostro corpo ci invia; la comprensione di tali riflessi ci porta ad integrare le informazioni su un livello più alto, più fine, sicuramente un approccio rivolto alla “cura” reale delle disfunzioni somato-posturali del nostro Sistema Biologico.
ORIZZONTI POSTURALI - Il sistema posturale: a volte è una questione di pelle
LA POSTURA REALIZZA LA SUA FORMA NEL SISTEMA CUTANEO FASCIALE
L'esperienza posturale nella pelle
La pelle ha la capacità di secernere neurotrasmettitori che insieme al sistema nervoso sono accomunati da un altro aspetto: le emozioni. Nello specifico, se il sistema nervoso si occupa di “vivere” le emozioni e tutto quanto vi è connesso (memorie, intenzioni ecc.), è dalle fibre sensoriali cutanee, ovvero dal tatto, che si originano molte delle sensazioni (temperatura, prurito, fastidio, piacere ecc.) che passando per il talamo possono dar vita alle emozioni. Nonostante sia sempre stata data molta attenzione alla vista, il tatto è il primo senso che si sviluppa nell’embrione, senza contare che si appoggia a uno dei più grandi organi corporei (2 mq di estensione). Come spiega Ashley Montagu, antropologo che studiò come le esperienze cutanee plasmano il comportamento umano, determinando reazioni posturali sempre in divenire, secondo un approccio somato-psichico, il tatto è il “genitore degli occhi, delle orecchie, del naso e della bocca” (tradotto da Montagu 1978, p. 1). È il primo senso a svilupparsi negli animali e nell’embrione umano è già presente prima della sesta settimana di vita, quando l’embrione è più corto di un pollice e gli occhi e le orecchie non sono nemmeno abbozzati. Man mano che la gravidanza continua, il senso del tatto si sviluppa in tutto il corpo, partendo dalle guance e proseguendo per i genitali, le mani, i piedi, l’addome, i glutei ecc., sequenza che si riflette nell’area somato-sensoriale primaria della corteccia cerebrale: le prime aree che acquistano il senso del tatto occupano infatti un maggiore spazio a livello cerebrale (McGlone e Reilly 2010). Se il tatto è uno dei primi sensi a svilupparsi, allora deve avere un’importanza fondamentale, capiamo meglio il perché!
COMPRENDERE L’UNITÀ NEURO ENDOCRINA-MIOFASCIALE NEL SISTEMA CUTANEO
Il sistema miofasciale è finemente articolato in strati al fine di avvolgere il corpo nella sua interezza, esternamente e visceralmente. Nei confronti dell’esterno, la fascia superficiale è strettamente connessa con uno degli organi più grandi: la pelle (il 6% della massa corporea; Slominski et al. 2015). La pelle separa un organismo dall’ambiente, permettendo così la discriminazione fra interno ed esterno e garantendo l’equilibrio allostatico (Slominski et al. 2012). Inoltre: funge da barriera fisica, chimica e biologica nel rispetto degli agenti esterni. Avendo un collegamento con le fasce superficiale e assiale, la barriera è anche meccanica: partecipa nella resistenza ai traumi fisici assorbendo le forze provenienti dall’ambiente attraverso l’elasticità di epidermide e derma (Abu-Hijleh et al. 2009); gioca un ruolo fondamentale nella regolazione della temperatura corporea e delle riserve idriche e di elettroliti tramite la sudorazione e i collegamenti con il tessuto adiposo della fascia superficiale (Ross e Pawlina 2011); è un fondamentale organo emuntore del corpo grazie alle ghiandole presenti nel derma, ossia le ghiandole sudoripare, sebacee e apocrine (Ross e Pawlina 2011); permette di percepire il mondo esterno tramite una fitta innervazione sensoriale che convoglia sensazioni di tatto, temperatura, nocicezione, prurito e piacere dalla periferia del corpo al sistema nervoso centrale (McGlone e Reilly 2010).
La pelle comprende l’epidermide, ovvero uno strato epiteliale di derivazione ectodermica, e il derma, uno strato di tessuto connettivo sottocutaneo di derivazione mesodermica che forma un continuum con la fascia superficiale, la quale trovandosi proprio sotto il derma viene spesso chiamata ipoderma (Myers 2009; Ross e Pawlina 2011). La pelle e il sistema fasciale manifestano continui scambi attraverso l’intricata rete di nervi e vasi sanguigni che li attraversano. Inoltre, la fascia superficiale, insinuandosi nei muscoli e nelle aponeurosi più profonde, collega il derma con la fascia profonda, consolidando così il legame pelle-sistema miofasciale (Abu-Hijleh et al. 2012; Myers 2009).
Per svolgere questi compiti, la pelle presenta molteplici scambi con il resto del corpo che devono essere finemente regolati. Inoltre, essa è esposta a continui fattori di stress (stressors) che deve gestire prima che possano creare danni sistemici. Per tali motivi, l’evoluzione ha dotato la cute di uno skin stress response system in grado di attivarsi quando gli stimoli percepiti superano una soglia di intensità potenzialmente pericolosa (Slominski et al. 2000, 2008).
Come vedremo, lo skin stress response system, SSRS è praticamente identico alla reazione centrale di stress: le strutture che formano la pelle, siano esse sensoriali o effettrici, si comportano infatti come autentici organi neuro-endocrino-immunitari (Bottaccioli 2005). Quanto detto non stupisce se pensiamo che l’epidermide deriva a livello embriologico dall’ectoderma e dalle creste neurali, esattamente come il SNC, i gangli paravertebrali e la midollare dei surreni. Pertanto, è normale che possa svolgere le medesime funzioni di questi tessuti e produrre le medesime sostanze. Ha, infatti, un suo asse ipotalamo-ipofisi-surreni (HPA); presenta un omologo del circuito ipotalamo-ipofisi-tiroide; è in grado di produrre ormoni sessuali a partire dal colesterolo; secerne neurotrasmettitori e ormoni come dopamina, serotonina, acetilcolina e melatonina, oppioidi e cannabinoidi (Slominski et al. 2012). Sembra infine avere una famiglia di linfociti T specifica per la regolazione della propria rigenerazione (i linfociti Th22; Eyerich et al. 2009), oltre a ospitare una cospicua flora batterica (Scharschmidt e Fischbach 2013). Infine, la pelle, mediando le sensazioni derivanti dal mondo esterno, ci permette di interagire attraverso un’enorme gamma di sfumature, da quelle meramente spaziali a quelle più sociali e affettive. Infatti, non esiste amore senza contatto fisico, e le ricerche sull’attaccamento neonatale e infantile da Harlow in poi, passando obbligatoriamente per Bowlby, lo dimostrano molto bene (Harlow 1958; Siegel 2013).
La Termoregolazione rappresenta una forma di organizzazione fine del sistema cutaneo fasciale, nel dissipare il calore la sudorazione è indotta dall’acetilcolina e comincia dalla fronte per discendere lungo tutto il corpo, arrivando infine alle mani e ai piedi. In caso di stress emotivo invece, le mani, i piedi e le ascelle sono le prime aree a sudare sotto una stimolazione mediata dall’adrenalina (Ross e Pawlina 2011).
Nel derma sono presenti fibre nervose veloci Aβ che innervano i principali annessi sensoriali, ossia: i corpuscoli di Pacini, adibiti alla ricezione di vibrazioni e cambiamenti pressori; i corpuscoli di Ruffini, sensibili a stiramento e torsione; i corpuscoli di Meissner, in grado di percepire stimoli leggeri e puntuali in quanto aventi un campo ricettivo molto piccolo come i dischi di Merkel, questi più specifici per la pressione (McGlone e Reilly 2010).
Attraverso plessi di terminali nervosi liberi mediati da fibre nervose lente Aδ (mieliniche) e C (non mieliniche), il derma e l’epidermide portano al corno dorsale del midollo spinale e poi al cervello sensazioni di dolore, temperatura e prurito dovute a cambi di temperatura, pH e rilascio di molecole infiammatorie quali CGRP, sostanza P e istamina. Nonostante all’apparenza molto simili, i terminali nervosi si differenziano fra loro per lo stimolo che percepiscono (caldo, freddo, dolore per il caldo, dolore per il freddo ecc.) e per la loro soglia di attivazione, alta o bassa (McGlone e Reilly 2010; Slominski et al. 2012).
La relazione “intima” del sistema tegumentario con il sistema tonico posturale, pone accenti sempre più approfonditi sull’indissolubile e quanto mai necessaria comprensione che tutto diviene nella perenne connessione multisistemica: nostra è la responsabilità di conoscere le dinamiche anatomo fisiologiche per trovare nuovi ingressi di consapevole lettura dell’Essere Umano e delle sue risposte di adeguamento posturale.
* Osteopata D.o.m R.o.i - Docente FIF settore Postura, Laurea in Scienze Motorie e Specializzazione in Scienze e Tecnica dello Sport
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ORIZZONTI POSTURALI - Postura e emozioni
UN PICCOLO PASSO VERSO LA COMPRENSIONE DELLA NEUROSCIENZA ATTRAVERSO LA TEORIA DELL'EMBODIMENT IN RELAZIONE AL LINGUAGGIO
L’idea che lo studio e l’analisi posturale si possano fermare ad una attenta valutazione biomeccanica potrebbe portare il nostro lavoro verso un limite osservazionale: il corpo vive di continue informazioni (input-output) provenienti dall’ambiente esterno e dirette verso ciò che ci circonda, ma in entrambi i casi ” interlinked” (collegate tra di loro) da un sofisticato “software” di elaborazione dati composto da molti sottosistemi che comunicano tra di loro: memoria, sistema somato-sensitivo, stato d’animo, natura del nostro pensiero, linguaggio.
Oggi il mio interesse è rivolto verso la comprensione della ricerca nelle Neuroscienze e come la lettura della nostra postura possa alimentarsi di nuovi interessanti concetti che coinvolgono il nostro corpo, la nostra mente.
Teoria “dell’Embodiment”
La teoria “dell’Embodiment”(impersonificazione o personificazione) è un approccio teorico e sperimentale in psicologia e nelle scienze cognitive e ha attirato negli ultimi anni parecchia attenzione. Esso presuppone che le principali attività cognitive della mente siano condizionate da certe proprietà del corpo come l’orientamento spaziale o i processi percettivi di base e ha rivelato interessanti applicazioni, ad esempio in ambito clinico e riabilitativo. In parole più semplici: si riferisce al ruolo e alla comprensione che attua il nostro corpo nelle esperienze quotidiane. Per esempio, in che modo il nostro corpo influenza il modo in cui pensiamo o parliamo?
Il pensiero e l’analisi dei processi funzionali nelle scienze cognitive hanno tendenzialmente “disorientato” la ricerca. Le scienze cognitive hanno sostenuto che la nostra “intelligenza”, l’abilità di percepire, pensare ed usare lo stesso linguaggio non sorgono da nessuna forma fisica. La nostra cultura occidentale ha unidirezionalmente dissociato il corpo dagli stati del pensiero; riflettiamo ad esempio in campo filosofico: già nell’antica Grecia con Platone che asseriva che il Corpo era una distrazione per la vita intellettuale e doveva essere sradicato dalla letteratura e dalla filosofia, oppure Sant’Agostino dove il corpo è fonte di peccato e debolezza, fino ad arrivare al dualismo Cartesiano che suddivide la realtà in res extensa (aspetto fisico e tangibile di ciò che ci circonda) e res cogitans (dimensione non materiale, comprende pensiero ed il frutto del pensiero stesso, la mente).
Il corpo è visto come una nave che trasporta il nostro pensiero, la nostra mente, senza influenzarlo. Se analizziamo tale presupposto viviamo nella dualità Corpo-Mente; diversi studiosi nel campo delle Neuroscienze (ramo della biologia o anche definito neurobiologia che rappresenta l'insieme degli studi scientificamente condotti sul sistema nervoso), hanno spostato l’attenzione sull’importanza attiva del corpo su elaborazione pensieri, linguaggio, memoria.
Riflettiamo insieme in relazione all’Embodiment:
1) Il concetto del Sé e chi siamo come persone è relazionato a tutte le attività collegate al Movimento e al Tatto.
2) La percezione non viene mediata solo dai recettori o analizzatori cinestesici (occhio,vista..etc), ma include tutto ciò che coinvolge il Corpo in azione.
3) Molti concetti astratti nascono da una base corporea di personificazione e continuano ad essere radicati su pattern sistemici collegati ad azioni corporee, movimenti.
4) La memoria, la memoria fotografica, il problem solving, non nascono da processi mentali interni, scissi dalla nostra corporeità, ma sono strettamente connessi a simulazioni sensoriali e motorie.
5) Le emozioni, la consapevolezza, il linguaggio si evolvono e continuano ad esistere come movimenti animati.
Il corpo sulla base delle affermazioni or ora enunciate, diventa essenziale se non preesistente alla costruzione del Sé. Interessanti sono i diversi approcci sul tale pensiero, studi empirici e non a dimostrazione di tale pre-ordinata organizzazione.
Foto 1: Embodiment: Body map of emotions (misurato con em-body)
Ricerca scientifica nelle Neuroscienze
Nuove evidenze scientifiche, in questo campo, suggeriscono che le esperienze di emozioni e le cognizioni ad esse collegate, sono associate a stati muscolari, tra cui espressioni facciali, posture del corpo e movimenti (Winkielman et al., 2015). La ricerca a sostegno di questa teoria ha dimostrato che il corpo è il “manipolatore “della postura ossia può influenzare le risposte psicologiche. Ad esempio una postura eretta, verticalizzata, da seduti è stata collegata a miglioramenti affettivi, stati, sentimenti di potere e sonnolenza rispetto alla postura crollata (Hao, Yuan, Hu e Grabner, 2014; Nair, Sagar, Sollers, Consedine, Broadbent, 2015; Ranehill et al., 2015; Riskind & Gotay, 1982).
Le espressioni facciali e le posture del corpo hanno dimostrato di influenzare risposte fisiologiche e psicologiche conseguenti a fattori di stress acuto. I partecipanti sono stati manipolati sperimentalmente per sorridere durante un fattore di stress e le espressioni facciali hanno riportato una riduzione minore in positivo durante il recupero ed avevano una frequenza cardiaca più lenta rispetto ai partecipanti con espressioni neutre (Kraft & Pressman, 2012). Inoltre, i partecipanti che sono stati manipolati sperimentalmente per avere una postura eretta durante lo stress (ciò ha portato ad avere una pressione del polso più alta), riportavano un umore migliore e maggiore eccitazione e hanno usato meno parole di emozione negativa rispetto a quelle manipolate per avere una postura crollata (Nair et al., 2015). Altre ricerche hanno ha mostrato che i partecipanti in una posizione supina (sdraiati) hanno riportato un calo di ansia anticipatoria prima di un fattore di stress rispetto a quelli in piedi, che possono comportare una differenza nel carico dei barorecettori (Lipnicki & Byrne, 2008). Vi sono altrettante prove dimostranti che modificare la postura del corpo possa influenzare la fisiologia, sebbene gli effetti siano complessi. Una postura più eretta tende ad essere associata a pressione sanguigna più bassa e temperatura del braccio più bassa, sebbene ci siano risultati incoerenti per gli effetti sul GSR (Gellman et al., 1990; Sun et al., 2012; Tikuisis &Ducharme, 1996; Tulen, Boomsma e Man in 't Veld, 1999; Wenger e Irwin, 1936). Altro esempio nella ricerca riguarda il camminare per brevi distanze; questo determina ed aumenta la risposta galvanica della pelle, (Galvanic Skin Reponse :GSR ,conosciuta anche come conduttanza cutanea o risposta dell'attività elettrodermica) è un indicatore affidabile dello stress. Si tratta di una misura del flusso di energia elettrica attraverso la pelle di un individuo. Quando l'individuo è sotto stress, la conduttanza cutanea aumenta a causa dell’aumentata umidità dell’epidermide e ciò determina un aumento del flusso elettrico (Selz et al. 2009). Si ricordano le due componenti coinvolte nella reazione di stress: l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e il sistema nervoso simpatico che fa parte del sistema nervoso autonomo insieme al sistema nervoso parasimpatico. Eventi stressanti o situazioni di emergenza causano cambiamenti dinamici del sistema nervoso autonomo, in particolare l’attività del sistema nervoso simpatico (SNS) aumenta e quella del sistema nervoso parasimpatico (PNS) diminuisce. In alternativa, le attività del parasimpatico sono dominanti nelle fasi di riposo. Il sistema nervoso simpatico e parasimpatico regolano la risposta galvanica cutanea, la variabilità della frequenza cardiaca, la pressione arteriosa e le onde cerebrali che sono i principali indicatori utilizzati per la misura dello stress (Sharma et Gedeon 2012).
Questa ricerca mirava a indagare se una camminata con postura eretta, producesse miglioramenti immediati a breve termine degli stati psicologici (stati affettivi, sentimenti di potere, sonnolenza e dolore percepito) e stati fisiologici (pressione sanguigna, pelle galvanica, risposta e temperatura della pelle) rispetto a una posizione di camminata crollata o depressa durante uno stress psicologico. In altre parole, sia verticale la postura ambulante può agire da cuscinetto contro lo stress rispetto a posizione di camminata crollata. È stato impiegato un esperimento in cui i partecipanti sono stati assegnati in modo casuale in entrambi i percorsi gruppo di postura eretta o gruppo di postura depressa. Simile al precedente studio (Nair et al., 2015; Wilkes, Kydd, Sagar e Broadbent, 2017), in uno è stato utilizzato il compito di stress (il test di stress sociale di Treviri:SSTT) per ottenere risposte affettive. È stato dimostrato che l'induzione di stress da laboratorio tramite questo test fa aumentare il cortisolo, la risposta galvanica della pelle, la pressione sanguigna, la frequenza cardiaca, l'ansia, nonché peggioramento dell'umore negativo e riduzione della sonnolenza (Allen, Kennedy, Cryan, Dinan e Clarke, 2014).
È stato ipotizzato che i partecipanti alla posizione eretta camminando segnalerebbero stati affettivi meno negativi, maggiori sentimenti di potere, e meno sonnolenza dopo lo stress psicologico rispetto ai partecipanti alla postura di camminata crollata. È stato anche ipotizzato che i partecipanti alla postura eretta avrebbero una pressione del sangue in diminuzione, una bassa risposta galvanica della pelle e temperatura della pelle inferiore rispetto ai partecipanti alla postura di camminata crollata, suggestiva una risposta allo stress inferiore camminando sulle risposte psicologiche, mostrando effetti sull'affettivo parzialità e vigilanza della memoria. Persone indotte nel camminare con un "felice" stile ha richiamato più parole positive che parole negative, rispetto alle persone con camminata “infelice”.
La ricerca ha poi iniziato a esaminare gli effetti della postura durante il cammino con uno stile "depresso" (Michalak, Rohde e Troje,2015). Inoltre, dopo essersi impegnate in una postura crollata durante la camminata, le persone sane hanno sperimentato una riduzione della vigilanza rispetto a persone che adottano un modello di andatura saltante (Peper & Lin, 2012). Tuttavia ci sono state poche ricerche che studiano gli effetti della postura mentre camminiamo e sugli stati affettivi soprattutto durante lo stress. Se diversi stili del camminare alterano quindi le risposte fisiologiche e psicologiche allo stress questo potrebbe sia supportare la teoria dell'Embodiment che avere implicazioni per interventi di gestione sullo stress stesso.
Foto 2 tipologie di analisi della Camminata “depressa” ed” eretta”
L'Embodiment ”personificazione” e il Linguaggio
La teoria dell’Embodiment suggerisce che la partecipazione di determinate parti del corpo durante l’elaborazione dei concetti riferiti a un’azione o a un oggetto può attivare le aree senso-motorie corrispondenti, non solo quando produciamo azioni con quelle parti del corpo ma anche quando l’azione è eseguita da qualcun altro e osservata dal partecipante o quando è solo immaginata (Arévalo et al., 2007).
Esperimenti condotti in questi ultimi anni hanno portato alla scoperta di un tipo di neuroni che può fare da tramite tra il sé e gli altri: i neuroni specchio ("mirror neurons"). Questi neuroni, inizialmente scoperti nell’area F5 della corteccia premotoria frontale della scimmia (l’area originariamente descritta da Rizzolatti e Arbib), omologa dell’area di Broca nell’uomo (specificatamente dell’area 44), hanno una doppia funzione: da una parte si attivano quando la scimmia compie un’azione manuale, ad esempio afferrare un oggetto, dall'altra si attivano in modo simile quando la scimmia vede o sente un'altra scimmia o un uomo compiere la stessa azione (Koheler et al., 2002). Vedere o ascoltare un’azione finalizzata eseguita da un altro soggetto, attiva nell’osservatore gli stessi neuroni che si attiverebbero se fosse lui stesso a compiere quell'azione, rendendo in parte simili, da un punto di vista neurale, percezione e produzione. Questi neuroni specchio, quindi, suggeriscono una base neurale in parte comune per percezione e produzione dei movimenti (gestures), linguistici e manuali.
Nell'uomo il sistema "mirror" è stato dimostrato in maniera indiretta, mediante varie tecniche. Ad esempio, studi attraverso la PET (Tomografia a Emissione di Positrone) hanno mostrato che le due zone che compongono l’area di Broca contengono anche la rappresentazione di movimenti manuali; risultano, infatti, attivarsi quando si eseguono movimenti autoindotti, quando si immagina di ruotare le mani e quando si immagina di afferrare qualcosa con la mano. Dunque, l’area di Broca è coinvolta nelle rappresentazioni motorie della bocca e delle mani (Nicolai, 2006).
Studi realizzati attraverso MRI (Risonanza Magnetica funzionale) hanno mostrato come i neuroni specchio si attivino negli esseri umani sia durante l’osservazione di azioni eseguite con le mani sia durante l’osservazione di azioni eseguite con altre parti del corpo (ad esempio, la bocca, il viso o i piedi). Tornando all’articolo già citato di Arévalo et al. (2007), osservando un gruppo di 21 pazienti afasici (10 anomici, 6 Broca e 5 Wernicke), hanno notato che durante compiti di ripetizione, lettura e denominazione di immagini relative a oggetti (nomi) e azioni (verbi) selezionate in base ai parametri “manipolabile” vs “non manipolabile”, i pazienti denominano meglio i nomi rispetto ai verbi. In generale, sia nel gruppo di controllo che nel gruppo dei pazienti (indipendentemente dal tipo di afasia) la denominazione dei verbi è sempre meno accurata. Inoltre, il compito di denominazione, rispetto a quello di lettura e ripetizione, risulta più complesso per tutti.
Considerazioni finali
Il Quanto sia importante portare lo sguardo al di là delle nostre consolidate convinzioni e comprendere che l’atteggiamento posturale, manifestazione dinamica del nostro Essere, può determinare risposte e nuove strategie a problematiche muscolo scheletriche che tradizionalmente affrontavamo con schemi biomeccanici, assolutamente utili, ma in alcuni casi non risolutivi.. come sempre leggere per riflettere, non per asserire nuove verità, la conoscenza passa dalla continua (a volte massacrante) messa in discussione dei nostri ragionamenti posturali.
Ognuno di noi sente una connessione intima tra quello che siamo ed il nostro Corpo, la sopravvalutazione degli eventi cognitivi, pensieri che si concretizzano nella nostra mente, non esula dalla interpretazione che il nostro personale e unico vissuto corporeo fa di tali processi, potremo considerare tale aspetto come la massima espressione del Linguaggio del corpo che vive e governa la Mente, e non il contrario…..a voi le vostre considerazioni.
“Non c’è perché senza percome”
William Shakespeare (La commedia degli errori)
* Osteopata D.o.m R.o.i - Docente FIF settore Postura, Laurea in Scienze Motorie e Specializzazione in Scienze e Tecnica dello Sport
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Mettere in contatto il proprio corpo con la plasticità rigenerativa del proprio cervello è il cardine della nuova Educazione Posturale per creare un nuovo paradigma sensomotorio e abbattere il dolore
Eccoci al dunque, disse il saggio al proprio discepolo… L’interesse verso la Postura come risultante di un processo cosciente e non cosciente, oggi mi porta qui, nel tentativo in poche righe di riflettere insieme riguardo alla gestione posturale che nasce e si alimenta nel cuore della conoscenza di questi due mondi: La Mente ed Il Corpo. Pochi spunti per farci viaggiare sulla brezza della Nuova Scienza Integrata dove Psiche, sistema neuro-endocrino, sistema immunitario, sistema fasciale collaborano nell’eterno scambio di informazioni che manifestano la chiara connessione di ogni processo-stimolo che vive in Noi.
Partiamo da un argomento-provocazione: il dolore somatico, che si verifica al livello superficiale in una certa area del nostro Corpo. Sappiamo chiaramente che può nascere da innumerevoli fattori ma fra i molti, per comprendere meglio, scelgo un isolamento sociale prolungato (un esempio che oggi conosciamo, purtroppo, tutti molto bene). Le Nuove Scienze dichiarano che le aree cerebrali che si attivano sono: l’insula e la corteccia anteriore del cingolato, dedite alla regolazione del dolore ma anche delle emozioni. L’insula dedita alla percezione corporea, ossia per il monitoraggio di ogni parametro e funzione dell’organismo si attiva, o meglio si iperattiva, generando sostanze infiammatorie e l’aumento della pressione arteriosa (Eisenberg “the neural bases of social pain). L’incremento dell’eccitazione di tutto il nostro sistema nervoso genera l’infiammazione neurogena che altro non è che una risposta che nel cronico (pensate a quanto è durato il nostro isolamento, e tutt’ora ne vive di sfumature meno evidenti ma ben presenti, credetemi!) causa fibromialgia, dolori pelvici, emicrania, fibrosi con interessamento di tutta la matrice miofasciale (Littlejohn”Neurogenic inflamation in fibromialgy”). Se quindi tali network esistono fra dolore, emozioni, percezioni, attivazione corporea, non ci deve stupire che ogni piccolo passo verso un intervento volto all’emozione e alla consapevolezza, possa essere di aiuto per la diminuzione del livello infiammatorio o di ipersensibilizzazione del nostro organismo.
Ora ribaltiamo il punto di partenza con questa domanda: quanto e perché molte discipline corporee come massaggio, meditazione, agopuntura, osteopatia, yoga, mindfulness, psicoterapia svolgono un’azione sedativa e ormonalmente favorevole alla diminuzione di tali livelli di criticità sul dolore?
Affrontiamo più in dettaglio i recenti studi su tali discipline corporee o terapie. I risultai mostrano miglioramenti dei livelli di ansia, stress, depressione: lo Yoga, nelle sue più svariate forme, è utile nel regolare cortisolo, pressione arteriosa, glicemia, colesterolo (Pascoe MC, Thompson DC 2017), nel miglioramento associato alla sclerosi multipla; la mindfulness è atta al miglioramento della mobilità quotidiana, nella diminuzione del dolore fisico e affettivo in molteplici casi quali ad esempio: lombalgia, cefalea, dolore muscolo-scheletrico posturale (Majeed MH, Ali AA, 2017). La Mindfulness (come tecnica ovvero mindfulness-based stress reduction o meditazione diretta alla compassione verso se stessi egli altri) ha trovato un riscontro di miglioramento sulla mobilità muscolo-scheletrica e nella gestione del dolore nelle attività quotidiane e nella sua diminuzione, nella regolazione del cortisolo, dei ritmi circadiani e di produzioni di interleuchine IL-6: ricordiamo che tali citochine infiammatorie sono, secondo gli ultimi studi, correlate all’instaurarsi della infiammazione, inizialmente processo difensivo dell’organismo, ma nel cronico se non gestita può causare un aggravamento (vedi tempesta citochinica nella Sars cov 2). Lo sapevate che tali Discipline (Yoga, Qi Qong, la psicoterapia, la mindfulness) sostengono il sistema immunitario e che in caso di tumore e immunodeficienza (HIV) favoriscono la secrezione di IL1, la proliferazione di cellule NK (Natural Killer) ovvero globuli bianchi coinvolti sia nelle risposte immunitarie innate sia nell’immunità acquisita; oltre poi a difendere l’organismo da attacchi esterni, riconoscono e uccidono le cellule tumorali, e sono coinvolte nei fenomeni dell’autoimmunità; e ancora la proliferazione di cellule T helper (linfociti aiuanti) e T citotossici (linfociti che intervengono nella eliminazione virus o cellule tumorali) con la regolazione del livello cortisolo, aiutandone la depressione e la longevità in pazienti oncologici anche di oltre 2 anni (Giese Davis;Collie K,Rancourt e al 2011). Se la autoconsapevolezza può fare così tanto riflettiamo sul potenziale della conoscenza e soprattutto la conoscenza del dolore, integrando la teoria del cancello (andate a rileggere l’articolo) con nuove teorie evidence based…. Veniamo al dunque, il dolore viaggia per vie nocicettive (ovvero stimolo che descrive la pericolosità, ad esempio di un determinato movimento in un arto infortunato) e considerare tali vie come vie uniche del dolore è una leggerezza (Melzack) che stiamo pagando con l’incremento del dolore cronico (Moseley,Pain Manag.2012). Melzack afferma, con molti casi studio (vedi arto fantasma), che il dolore presente, esempio dopo un’amputazione, risiede nell’interazione di più sistemi che si accendono come in caso di stress, ansia, infiammazione, febbre, tramite la quale l’organismo protegge il suo intero Sé (Melzack, Pain and Neuromatrix in the brain 2001). Numerosi studi evidenziano i misteri sul dolore, persone piegate in due dal dolore ma senza danni strutturali, operazioni chirurgiche su ernie che non producono nessun effetto sul dolore cronicizzato.
Il dolore, come sottolinea Melzack, è una strategia del nostro Corpo atto a proteggersi e a conferma di quanto detto sempre più studi ci portano alla luce la modesta efficacia, terapie quali la chirurgia, la psicoterpia comportamentale, mirate specificatamente all’area che fa male (lo stesso riguarda terapie farmacologiche; Apkarian, Baliki Predicting transition to chronic pain 2013).
Concludendo, le discipline corporee non mirano a sostitursi a nessuna terapia, ma nel caso di dolore cronico, l’azione corporea può influenzare i livelli di disequilibrio (riorganizzando le mappe sensomotorie cerebrali, quindi la postura stessa), tralasciare, in caso di cronicità del dolore, i vecchi paradigmi biomeccanici, per cui riparando la lesione si ristabiliscono i sistemi funzionali, dirigendosi verso nuovi approcci:
◆ un programma di rieducazione senso motoria basata su obiettivi quantitativi (esempio in presenza di cronicità a livello della schiena, camminare per un certo tempo, o per un dato percorso, e non sul dolore)
◆ consapevolezza verso le proprie risorse e abilità
◆ nutrizione antinfiammatoria
Così si può creare un nuovo paradigma sensomotorio, che abbatte il dolore, mettendo in contatto il proprio corpo con la plasticità rigenerativa del proprio cervello. L’educazione su nuovi profili di intervento è essenziale, le persone devono sapere che il SN ha una sensibilità post attività, che può produrre dolore, ma che diminuirà la sua persistenza oltre le due ore, e che può evidenziare un errore di valutazione sul carico quantitativo proposto o effettuato, ma al di là di questo è fondamentale dare nuove soluzioni di adattamento al SN.
Grazie a questa nuova Educazione forse il dolore non passerà, vista la sensibilizzazione a livello centrale, ma sicuramente la sofferenza Sì, e questa condizione permetterà alle persone di vivere la propria vita con un equilibrio e una serenità maggiori, con più frecce al proprio arco, ricercando una più alta consapevolezza del sé.
ORIZZONTI POSTURALI - Nervo vagus, “il Viaggiatore” che regola l’equilibrio psico-fisico
RIFLESSIONI E APPROFONDIMENTI
Viviamo oggi nel continuo flusso di informazioni che riguardano la salute ed il suo preservamento, sentiamo spesso parlare di stress, associandolo il più delle volte ad un valore negativo o meglio non coerentemente inquadrato nel contesto reale di salute di chi abbiamo davanti, mentre dovremmo imparare concetti come eustress e distress per comprendere meglio i segnali di allarme che sono normalmente gestiti dal nostro sistema (eustress) ed al contrario i messaggi che non riusciamo più a controllare determinando un innalzamento dello stato di veglia e di infiammazione (distress). Si tratta del principale sistema antinfiammatorio del nostro organismo,”Cholinergic Anti-inflammatory Pathway (CAP)» “riflesso antinfiammatorio del vago”, identificato per la prima volta nel 2000.
La sua funzione si riduce a causa dello stress cronico e dell'infiammazione, produce effetti antinfiammatori grazie alla produzione di acetilcolina, ed è responsabile dell’equilibrio del sistema nervoso, immunitario, ormonale e metabolico. L’attività del nervo vago, oltre contrastare le infiammazioni, riduce lo stress ossidativo, ed è connessa con il funzionamento della corteccia frontale e dell’amigdala che sono fondamentali per la regolazione delle emozioni (Urry et al., 2006); migliora la qualità del sonno, migliora l’umore, la concentrazione e la capacità di scelta. Il mio proposito è fare una riflessione per approfondire le molteplici proprietà del Nervo Vago e la possibilità della sua regolamentazione abbassandone il tono o incrementandone la sua funzione; partendo dal presupposto che non è un pulsante sul quale possiamo fare on /off, tali e tanti sono i fattori che lo influenzano, ma possiamo averne una conoscenza più approfondita. A cosa ci riferiamo quando parliamo di Nervo Vago? Vediamo di parlare un po’ di anatomia, per prima cosa. Il Nervo Vago è uno dei dodici nervi cranici, in particolare il decimo (infatti è chiamato anche nervo X del cranio, NERVO PNEUMOGASTRICO). Non è assolutamente mia intenzione andare troppo sul tecnico. In breve, parte da un punto situato nel profondo del nostro cervello e si snoda, scendendo dal collo nel resto del corpo, arrivando in molte zone dello stesso, nel torace e fino al basso addome. Non si tratta di un solo Nervo Vago, in effetti, ma possiamo vederli come due diramazioni nervose che scendono a destra e a sinistra. Sono i nervi più lunghi e ramificati del corpo e da questa caratteristica deriva il loro nome. La parola latina vagus significa letteralmente “vagabondo”, infatti, è presente un po’ dappertutto nel torace e nell’addome. È importante affrontare bene la fisiologia del nervo vago, il suo percorso perché questo sarà fondamentale quando arriverà il momento di stimolarlo o comprenderne le sue disfunzionalità.
In molte sintomatologie ad esempio:
■ Dolori muscolo-scheletrici diffusi
■ Stanchezza cronica
■ Quadro infiammatorio diffuso
■ Modificazioni posturali adattive rachidee
■ Alterazioni funzionali della tiroide
■ Difficoltà di deglutizione, senso di nodo alla gola
■ Iperidrosi e o scialorrea
■ Disturbi del tratto urinario inferiore
■ Irregolarità del ciclo mestruale
■ Calo del desiderio sessuale
■ Abbassamento del tono dell’umore
■ Difficoltà a concentrarsi
■ Probabile difficoltà di ottenere un calo ponderale, oppure un controllo sul normopeso
Che cosa influenza il nervo vago?
A livello del Sistema Motorio fornisce capacità di sviluppo per i muscoli del collo che hanno funzioni quali deglutire e parlare. Parasimpatico: responsabile del funzionamento del tratto, del respiro e degli stimoli legati allo stomaco. Il lato parasimpatico, con cui il nervo vago è sinergicamente impegnato, diminuisce lo stress, la tensione circolatoria e aiuta con il rilassamento e la capacità di ragionamento. Inoltre il Nervo Vago ha anche la funzione di aiutare nella defecazione, minzione ed eccitamento sessuale. Il Nervo Vago è un elemento chiave del sistema sensoriale parasimpatico “riposo e sintesi”: ha un impatto sulla respirazione, sullo stomaco e sul battito cardiaco, che possono influire sul benessere emotivo di ogni individuo. Comunque sia, ciò a cui si deve prestare attenzione è il “tono” del Nervo Vago. L’attività vagale è responsabile del controllo di innumerevoli processi fisiologici di regolazione, come la riduzione della frequenza cardiaca, la vasodilatazione o vasocostrizione dei vasi sanguigni, attività ormonale, polmonare, digerente. Nel 2010 alcuni analisti hanno trovato un circolo positivo tra tono vagale alto, emozioni positive e benessere fisico. Per così dire, più si aumenta il tono vagale, più migliorerà il benessere sia fisico che mentale (Sun et al. 2013) e viceversa. La reazione vagale diminuisce la pressione, diminuisce il battito cardiaco e la tensione circolatoria. Inoltre cambia la capacità funzionale di alcune parti del cervello, aiuta la concentrazione e agevola i benefici di quando il corpo è in uno stato di benessere. È interessante che alcuni studi abbiano persino dimostrato che il tono vagale viene trasmesso dalla madre al bambino. Le mamme che sono scoraggiate, nervose e arrabbiate durante il periodo di gravidanza hanno un movimento vagale inferiore. Inoltre, quando partoriscono, il neonato ha una bassa azione vagale e anche bassi livelli di dopamina e serotonina. Il tono vagale può essere stimato seguendo alcune procedure, ad esempio, il battito cardiaco, la frequenza respiratoria e la fluttuazione del battito cardiaco. Nel punto in cui la fluttuazione del battito cardiaco è elevata, il tono vagale risulterà altrettanto elevato e questo sta a significare che tutto è in correlazione. Nel caso il tono vagale sia basso non c’è bisogno di stressarsi: si può trovare un modo per rigenerarlo rinvigorendo il nervo vago e ciò consentirà di reagire in modo più adeguato alle manifestazioni fisiologiche del cervello e possibili disturbi psicologici. Vi sono aspetti sui quali possiamo soffermarci per comprendere come regolare o rilanciare tale attività. Il Nervo Vago è principalmente associato alle linee vocali e ai muscoli della parte posteriore della gola. Cantare, mormorare, recitare sono attività che possono attivare questi muscoli e dunque rinvigorire il Nervo Vago. Inoltre, è stato dimostrato che questo aumenta la fluttuazione del battito cardiaco e il tono vagale. Lo psicologo clinico Dr. Glenn Doyle osserva che: “Il Nervo Vago è profondamente inserito nel nostro cuore, nelle nostre viscere e nella nostra voce. Ogni volta che ci rivolgiamo all’interno per controllare i nostri veri sentimenti; controllare con la nostra saggezza intuitiva; o per trovare la nostra vera espressività, stiamo accendendo il Nervo Vago: ogni volta che il nostro viso riflette ciò che stiamo veramente provando o vivendo, ogni volta che ci colleghiamo ai ritmi di noi stessi o del mondo che ci circonda, esso è all’opera. Quando parliamo, gridiamo, cantiamo, il nervo vago si illumina come un albero di Natale, che è uno dei motivi per cui queste attività possono essere così catartiche ed emotive per molti di noi”.
Concludendo, possiamo affermare che l’attenzione di chi opera nel settore della salute, ancora una volta pone l’accento su come ciò che conosciamo ed osserviamo e approfondiamo debba servire per aiutare le persone a superare le loro difficoltà, comprenderle, valorizzando contemporaneamente le loro risorse, le loro capacità e la loro resilienza.
* Osteopata D.o.m R.o.i Postural Training Consultant
ORIZZONTI POSTURALI - Lo “psoas” in ambito posturale: mito o realtà
“LETTURA INTEGRATA (MULTISISTEMICA) AL MUSCOLO ILEOPSOAS”
* Osteopata D.o.m R.o.i - Docente FIF settore Postura, Laurea in Scienze Motorie e Specializzazione in Scienze e Tecnica dello Sport
Premessa
State osservando il decorso anatomico del nostro Amico-Nemico Ileopsoas (perché lo chiamo cosi? ...non possiamo prescindere dalla sua componente iliaca nell’approccio anatomo-funzionale, ricordiamocelo!)...ecco ripartite nuovamente e fermatevi sui dettagli, forma, contesto anatomico di sviluppo, valutate chi incontra al suo passaggio... ma soprattutto ciò che non è illustrato, il suo ruolo di appoggio nella fascia viscerale. La mia idea è suggerire un criterio anatomico-sistemico posturale e conoscere le nuove influenze non solo biomeccaniche ma riflesse di tale affascinante muscolo che quando è in iper o ipo funzione crea decisamente qualche problemino. Innanzitutto chiariamo che il complesso anatomo-funzionale, non si rivolge ad un’ottica muscolo-specifica ma si dirige al tessuto connettivale del muscolo ileopsoas (major, minor, iliacus) e il suo network fasciale che spazia in senso non lineare all’andamento del muscolo stesso (origine ed inserzione anatomica classica) ma coinvolge come vedrete tante componenti viscerali e nervose. Quindi a tutti noi che operiamo nel settore della Postura, come interpretare tutto questo nuovo bagaglio di informazioni? Tali nuovi passaggi di conoscenza ci portano a fare alcune considerazioni teorico-pratiche molto stimolanti.
Biomeccaniche posturali
Il nostro sistema motorio è la risultante di un’evoluzione durata milioni di anni. Alcune componenti strutturali risentono ancora del nostro passaggio alla stazione in bipedia e si devono ancora notevolmente adattare ed assestare al contesto evolutivo presente. Tuttavia pensare alla mera componente muscolare dell’Ileopsoas ed a esercizi che possono essere dannosi o miracolosi, rappresenta un salto nel vuoto. La visione compartimentale muscolare, è puramente didattica e non risolutiva all’inquadramento posturale della sua reale funzione nel corpo umano: il nostro corpo ragiona per azione, movimento e non per soli muscoli, verifichiamo piuttosto, che la naturale sinergia muscolare venga rispettata.
Lewitt dice: “Non tocco un paziente finché non ho esaminato tutto. Voglio sapere qual è la catena rilevante. Comincio con un quadro generale, non una singola lesione. In altre parole, PENSA IN MODO GLOBALE, ma AGISCI LOCALMENTE”.
Allora, ecco la mia provocazione: conosciamo tutto ciò che agisce nelle “vicinanze” dello Psoas, prima di correggerlo con proposte che non hanno una coerenza tonica-posturale su chi avete davanti. Esempi, cingolo pelvico? come lavora in ortostasi? ..e in dinamica una grossolana Gait analisys (analisi del passo)? ..qual è lo sviluppo di una sinergia di azioni in uno schema motorio, come si dovrebbe comportare uno psoas equilibrato? Ricordiamoci, che il decorso è postero-anteriore come gli scaleni, ed in entrambi i casi gestiscono la risultante gravitaria della concavità posteriore (lordosi) del rachide. Le mie considerazioni partono dalla catena cinetica chiusa, ossia in posizione eretta, l’ileo-psoas determina il corretto allineamento “raddrizzamento” del tronco. Per approfondire meglio la correlazione meccanico-funzionale tra postura e ileopsoas, rinfreschiamo la nozione che i muscoli striati del corpo possono mutare la loro azione a seconda del capo che risulta fisso per la stabilizzazione dei segmenti ossei sui quali si inserisce, conseguentemente nel caso di alterato carico, sia in difetto che in eccesso sulla lordosi lombare (iper-ipo lordosi) esso prende come punto fisso le vertebre e ciò crea, tramite una probabile prevalente azione delle fibre orientate centralmente con inserzione sul tratto lombare inferiore, un momento di forza rotatorio in senso orario sul piano sagittale (di profilo) che determina l’antiversione del bacino con conseguente postura alterata o la perdita della giusta retroversione in caso di mancanza di funzione statica. Quali sono le fibre che intervengono in entrambi i casi? In caso di prevalenza delle fibre laterali con inserzione sul tratto lombare superiori e si avrà una rotazione opposta del bacino (retroversione) con flessione anteriore del tronco. Meccanicamente la prevalenza di forza o ipertono di uno dei due psoas destro o sinistro crea una flessione omolaterale del tronco abbinata, di norma, a rotazione controlaterale del tronco stesso e del bacino (figura sotto, effetto pseudo ”scoliotico”). Nella corretta e normo-funzionale lordosi lombare invece, l’ileo-psoas ha come punto fisso la sua inserzione sul piccolo trocantere, essendo bilaterale, vi è un perfetto equilibrio fra fibre laterali e centrali del muscolo psoas e fra i due psoas; il cingolo pelvico si colloca così in posizione equilibrata con conseguente bilanciamento della muscolatura e delle curve fisiologiche della colonna vertebrale.
Criterio Fasciale e Nervoso
L’ileo-psoas coinvolge la fascia iliaca (Figura 1), accoglie nel suo ventre rami del plesso lombare, connessione neuro funzionale (Figura 2), nell’interstizio dei due ventri muscolari del muscolo si accompagnano le arterie lombari, vena lombare ascendente (tutte strutture differenziate nel loro connettivo ma comunque fascia!!). In specifico la fascia iliaca è una lamina connettivale che avvolge il muscolo ileopsoas formando una guaina sottile in alto e via via più spessa, discendendo verso la fossa iliaca, entra in contatto con il nervo cutaneo laterale del femore e la fascia lata e la sua compressione determina in alcuni casi la meralgia parestesica di Roth con dolore sulla zona antero-laterale della coscia dove si verifica ostruzione fasciale, creando scariche elettriche diffuse su tale regione, dolore urente intenso (forte bruciore). Il ventre muscolare è attraversato da molti altri nervi del plesso lombare, quali N. Otturatore (la sua compressione determina la perdita-paralisi di funzione in adduzione ed extrarotazione, esempio problema ad incrociare le gambe) N. Ileoipogastrico, N. Genito femorale è il “Neural entrapment” (intrappolamento fasciale) dello psoas su tali direttive del sistema nervoso crea tantissime sintomatologie dolorose, comprenderle e conoscerle fa la sua differenza.
Figura 1: fascia iliaca
Figura 2: Ileopsoas e Plesso lombare
Criterio Viscerale
Lo stretto rapporto del nostro Ileopsoas con tonache fasciali che sono in contatto con alcuni organi, ci porta ad altre considerazioni; ad esempio la sua irritazione muscolare può determinare una via riflessa dolorosa sulla zona del colon o sulla componente renale. Quindi in correlazione biunivoca, lo psoas può “affaticare” la fisiologia di un viscere collocato in continuità fasciale e viceversa. Esempio: problematiche a carico dell’Ileopsoas legate ad esempio a situazioni croniche-irritative della sfera ORL (otorinolaringoiatrica), con pazienti che soffrendo di patologie delle vie aeree superiori, portano espettorato nel canale digerente, infiammando la componente intestinale. La correlazione della IBS (sindrome del colon irritabile) oppure della SIBO (Small intestinal Bacterial Overgrowth). Credetemi non finiamo più infinite collegamenti.
Figura 3 e 4: lettura anatomo-viscerale dell’ileopsoas
Abbiamo svolto uno sguardo un po’ più in là del nostro “giardino”, resta inarrestabile la voglia di sorprenderci e appassionarci e crescere insieme, un capitolo in più al nostro libro che potrebbe essere arricchito anche dal lungo paragrafo “Psoas & Diaframma” e la sua corretta valutazione…incominciamo a ragionarci…
ORIZZONTI POSTURALI - Core stability e core strength sono realmente la panacea per il mal di schiena?
PUNTIAMO L’ACCENTO SUI SEGRETI NASCOSTI DELL’ALLENAMENTO DEL CORE
*Osteopata D.o.m R.o.i, Postural Training Consultant
Affascinati dal potere dell’allenamento del Core, sappiamo e conosciamo tutti i suoi segreti (?) ed i suoi benefici (?) e come l’enfasi in tale direzione può portare ad incrementare performance, rendimento e a risolvere problematiche di mal di schiena o prevenirle. Ma è proprio tutto così? Riflettiamo insieme, partendo da una breve ma precisa analisi del Core.
Core: Cos’è?
Un’area anatomica che si identifica nella zona lombo-pelvica, colonna vertebrale, complesso funzionale del bacino, ed articolazione dell’anca e da tutte le componenti muscolari che influenzano limitando o producendo direttamente o indirettamente (collegamenti fasciali) movimenti in questi segmenti (Willson et al.). Nel nostro ambiente, un esempio su tutti, Joseph Pilates, ideatore del medesimo metodo oggi tanto diffuso, aveva denominato “powerhouse” la odierna “core area”, evidenziando la necessaria implicazione di tale area nella generazione del Movimento. Ora il secondo dilemma nel comprendere le due parole associate a tale argomento: Stability & Strength. La continua ricerca in questo campo ci fa notare che le due correlate definizioni siano essenzialmente diverse a seconda che si parli di rieducazione motoria o performance sportiva. Nel programma di Core Stability si affronta una strategia di riprogrammazione neuro funzionale che permetta al soggetto che accusa dolore in cronico o in acuto il ripristino e l’attivazione del Movimento, in determinate sequenze/situazioni, e del controllo (motor control pattern) neuromotorio (neuromodulazione a feedback). Nel programma di Core Strength (Akuthota e Nadler) lo definiscono come “il controllo neuromuscolare richiesto intorno al rachide lombare per mantenere la stabilita funzionale”, mentre Lehman come “la forza che può essere generata ad una specifica velocità da un muscolo o un gruppo muscolare”. Tale introduzione è per portare alla luce un evidente interrogativo che prescinde dalla validità del programma , che naturalmente non è in discussione: “possiamo e dobbiamo sempre ricorrere al Core Training nel LBP o CLBP? …e se no perché? Direi che senza un appropriato criterio di assessment (valutazione), specifico e globale, ci perdiamo in chiacchiere da bar… e quindi quanti di noi, adottano test discriminativi per comprendere la reale natura del problema della schiena o nell’attuare un programma preventivo sul LBP? Vi pongo solo alcuni parametri da osservare per comprendere come un allenamento del Core potrebbe essere non efficace al limite del peggioramento se proposto in tali disfunzionalità o patologie.
• Figura A: schema fisiologico del respiro, freccia nera asse orizzontale rispetto apice sterno
• Figura B: schema disfunzionale asse obliquo rispetto apice sterno
Considerazione A
1) Schema respiratorio sano o schema respiratorio disfunzionale o con stereotipo patologico.
Se nel nostro soggetto durante l’inspirazione, il diaframma si muove caudalmente, mentre lo sterno avanza anteriormente, possiamo affermare che vi è una gestione pneumatica (pressoria) coerente con la funzione, sarà il contrario se osserviamo un’attività di risalita sternale, evidente, in fase di inspirazione e un sollevamento di tutta la cavità toracica in direzione craniale, senza alcuna espansione trasversale degli spazi intercostali.
Sappiamo che postura e modello respiratorio personale sono interdipendenti, quindi se vogliamo gestire con proficua enfasi l’allenamento del Core dobbiamo conoscere e riconoscere le dinamiche annesse nel controllo di stabilizzazione della colonna vertebrale in ogni situazione. Nel nostro assessment dobbiamo valutare la funzione respiratoria ma anche quella posturale in posizione eretta per comprendere l’attività di tenuta isometrica dei muscoli profondi (giustamente reclutati ma attenzione al loro ipertono) e muscoli superficiali non giustamente reclutati che causano anomalie e insorgenze del dolore lombare, per esempio. Nella figura che segue notiamo come il caso B, C, D rappresentano una controindicazione evidente all’allenamento del core con problematiche di lombalgia presenti, ma anche in funzione preventiva, perché se non normalizziamo la funzione del diaframma toracico e pelvico, provochiamo un ricercato allineamento su una base disfunzionale.
A Posizione fisiologica DT e DP
B Disallineamento dei due assi DT e DP
C Disallineamento verticale torace e pelvi (torace avanzato anteriormente)
D Posizione anomala colonna toracica rispetto bacino
Considerazione B
2) Schemi di movimento alterati
Partiamo da un’attenta valutazione degli squilibri articolari e muscolari, ovvero alla corretta lettura della de-centrazione del movimento intorno ad un asse articolare e muscolare. Le aree da indagare ab initio:
1) tratto cervicale
2) scapolo omerale
3) gabbia toracica (diaframma: “Breathing pattern “- vedi sopra)
4) passaggio dorso-lombare
5) passaggio lombo-sacrale
6) cinematica arto inferiore
Su ognuna di queste aree sarà di rilevante importanza comprendere individualmente le necessità di stabilità o mobilità, poniamo un esempio, riflettete sulla proposta di un side Plank (esercizio di solito proposto perché con minore carico specifico sulla zona lombare), in un soggetto con mal di schiena o con storico di sofferenza cronica di mal di schiena, con rigidità tratto toracico alto e medio (che influenza la meccanica della spalla nel 20% dei casi), che tipo di controllo o core stability potrà avere e mantenere..??? Sappiamo che il piano scapolare in detti casi determina un irrigidimento del piano capsulare posteriore, impingement e comparse del dolore sub acromiale… quindi riprogrammiamo il movimento scapolo omerale in primis o mobilizziamo il tratto dorsale medio e alto; la mia risposta è: in quel soggetto vediamo cosa e come risponde in prima seduta in maniera migliore, riproponiamo test e contro test e vediamo se l’allineamento posturale (statica osservazione sagittale) e o in side plank migliora… l’esercizio diventa la risposta alle nostre domande… un modus operandi che utilizzo per avere risposte che vivono nella coerenza di un metodo valutativo… ed insieme alla Federazione Italiana Fitness mi sto muovendo per questa tipologia di approccio, movimento e terapia del Movimento, fai le domande giuste al sistema corpo e lui ti risponderà… Stay tuned!!!! In conclusione, l’esercizio di stabilità e/o di forza del Core è un processo di evoluzione ed affinamento nel movimento attraverso l’utilizzo di strategie sempre ben mixate. Due sono i principali obiettivi che si affrontato nei programmi di stabilità di base: controllo motorio e capacità muscolare; entrambi i fattori hanno un notevole fondamento nella letteratura e può essere visto come una progressione nell’esercizio rispetto ad una netta e contrastante modalità applicativa, ma pur sempre preceduti dall’accurata ricerca di un inquadramento posturale e chinesiologico. È importante sottolineare che l’efficacia di queste metodologie di intervento motorio sia mediata da un attento focus valutativo dell’Operatore specializzato nel Movimento. Tuttavia, è necessario un ulteriore lavoro per perfezionare e convalidare l’approccio, in particolare con riferimento alla comprensione contemporanea della neurobiologia e del dolore cronico correlato alla terapia dell’esercizio fisico non solo riabilitativo, nonché alla visualizzazione di tutti i processi di sincronizzazione del movimento globale e segmentale.
ORIZZONTI POSTURALI - La colonna vertebrale (parte 3): la cervicalgia
Proseguiamo il nostro update nel campo delle patologie del rachide analizzando una delle parti più interessanti del nostro corpo: l’organizzazione cervicale e le sue problematiche.
PREMESSA
Considerazioni globali sull’alterazione del movimento
Dobbiamo sempre tenere presente che per quanto questa serie di tre articoli sulla colonna vertebrale possa apparire suddivisa in realtà comunica il rinnovato senso di collegamento inter-funzionale, base anatomica approfondita a livello regionale, ma ragionamento clinico posturale intersistemico (ossia fra più componenti).
Quindi spenderò alcune righe nel ricordarci che un’alterazione del movimento umano coinvolge sempre più strutture; se osserviamo la figura qui sotto mostra come in un soggetto la maggiore o minore debolezza di alcune componenti muscolari (notate l’adattamento propulsivo della testa, in leggera estensione, con evidente compressione di tutta la catena retta posteriore (back line), l’adattamento del piano occlusivo e la sua corrispondenza sulle prime tre vertebre cervicali, chiaramente un intervento che mira a correggere o la compensazione cervicale, piuttosto che la lombare, oppure dorsale, non esaurirà la comprensione del perché quel soggetto sia arrivato da noi in questo stato organizzativo.
Il nostro screening verterà sempre ab initio, sull’anamnesi e ricerca di concatenate cause traumatiche e non, che possono cronologicamente aver creato compenso, analisi recettoriale, le nostre batterie di test recettori specifici…e poi la parte più affascinante osservare…allenare i nostri occhi a cogliere l’alterata sinergia nel movimento, la relazione forza-velocità, o il rapporto tensione-lunghezza in dinamica, se rientra nelle nostre competenze la palpazione dei tessuti, l’integrazione senso motoria a stimoli esterocettivi semplici e complessi (integrandoli con risultati batterie test fatte in primis). Ogni elemento è un elemento importante nell’organizzazione dl Sistema Tonico Posturale...ricordiamocelo sempre…ed ora veniamo a noi!!!!
Cenni di biomeccanica cervicale
La biomeccanica è fondamentalmente una scienza che applica le leggi fisiche e meccaniche alle strutture biologiche come muscoli, legamenti, articolazioni e altre componenti anatomo-funzionali. Quindi, essendo la colonna vertebrale umana una rete complessa di queste strutture, è possibile che dei cambiamenti in queste strutture o nella posizione del cranio (Occipite o C0), in cima al tratto cervicale, affliggano il movimento normale in questo livello ma anche ad altri livelli, creando una cascata di compensi posturali e non solo. Inoltre, a causa della prossimità ad elementi anatomici vitali, come nervi cranici, midollo spinale, tronco encefalico, arterie ed altri vasi sanguigni, è ovvio capire che qualsiasi cambiamento della biomeccanica del rachide cervicale avrà effetti negativi su queste strutture vitali creando, conseguentemente, problemi anche seri alla salute della persona e disorganizzazioni posturali specifiche.
Considerazioni anatomiche e funzionali
Siamo soliti nella vita quotidiana utilizzare dal 30% al 50% del ROM cervicale. Possiamo osservare che le strutture nel nostro corpo, nella porzione cervicale (parliamo di flessori ed estensori), gevolano in maniera fluida il movimento della testa consolidando un’azione equilibrata e bilanciata.
- In estensione: semispinale del collo e del capo, splenio del capo
- In flessione: SCM (sternocleidomastoideo) Il rapporto di flesso-estensione è del 60% (Garces et Al. 2002); i flessori profondi del collo (lungo del capo, lungo del collo, retto anteriore del capo) funzionano nella retrazione più che nella flessione. Essi mantengono la corretta lordosi, postura, ed equilibrio neuro muscolare (Abrahams 1977). In particolare il muscolo lungo del collo e’ un muscolo posturale che contrasta la lordosi cervicale, e l’eccessiva estensione (Majoux, Benhaoum et al 1994).
Ricordiamoci che la presenza dei meccanocettori nelle capsule e nelle faccette articolari cervicali svolgono un ruolo importante nella funzionalità e nella protezione della colonna cervicale, preservandone la reattiva elasticità (Chen et al 2006), e nel controllo posturale. Il muscolo lungo del collo contiene una quantità di fusi neuromuscolari, a differenza degli estensori cervicali (Boyd-Clark, et Briggs et Galea 2002). Tali informazioni raccolte dalla componente posturale presente in questi muscoli e’ fondamentale per l’allineamento degli occhi in fase prenatale con la linea dell’orizzonte e per la mobilità precoce. L’allineamento visivo rappresenta la funzione tra le più importanti del rachide cervicale (Zepa et al 2003). I meccanismi di feed forward dei muscoli cervicali vengono attivati prima del movimento del braccio, garantendone la stabilizzazione nel movimento. In uno studio condotto (Falla, Jull, Hodges 2004,Rainoldi,Falla 2004) riportarono l'intervento dello SCM, dei flessori profondi, e degli estensori cervicali.
Zona muscolatura anteriore del collo
Muscoli posteriori del collo
Muscoli posteriori del collo 2
Risottolineo la diretta interazione/compensazione con il cingolo scapolo-omerale, specificatamente sul trapezio superiore e l’elevatore della scapola
Sindrome dolorose del distretto cervicale
L’orientamento della testa è dipendente dal sistema visivo per l’orizzontalizzazione dello sguardo e per quanto riguarda l'orientamento visivo-vestibolare (VOR: Vestibular Ocular Reflex) per la gestione ed il funzionamento del nostro equilibrio posturale, è dipendente dall’organizzazione del nostro apparato stomatognatico (un complesso anatomo-funzionale costituito da organi e tessuti che svolgono funzioni digestive (salivazione, masticazione, deglutizione), funzioni respiratorie e di relazione (fonazione e mimica facciale). L’area cervicale è una porzione strategica a livello di propriocezione.
La mia intenzione è partire da un’analisi regionale anatomica per poi svolgere un progressivo approfondimento del dolore connesso alla cervicale.
Osservazioni sulle sintomatologie cervicali
E’ fondamentale osservare che la colonna cervicale ha un'importanza nei riflessi primitivi come ATNR (Asymmetrical Tonic Neck Reflex) e funzionalmente ha una diretta interazione con il cingolo scapolo omerale. Specificatamente la porzione del trapezio superiore e l’elevatore della scapola, i romboidi e il muscolo omoioideo (se contratto tende la lamina pretracheale della fascia cervicale e partecipa all'abbassamento dell'osso ioide) possono influenzarsi nella gestione dell’organizzazione della posizione della testa, della spalla, ed essere condizionati da disfunzioni deglutitorie o di funzione linguale, che possono alterarne l’equilibrio muscolo-scheletrico.
Muscolo omoioideo
In tale ricerca delle sintomatologie dolorose dobbiamo riflettere, anche sull’importanza del collegamento con la componente toracica che a mio avviso rappresenta il link (soprattutto fino a t4-t5) della gestione posturale della testa. La colonna vertebrale toracica rappresenta una regione spinale critica ma non apprezzata.
Di tutte le strutture, la colonna vertebrale toracica è una delle più vulnerabili negli stili di vita moderni. Nella postura fetale, l'intera colonna vertebrale è cifotica. Siamo cablati per ottenere una postura stabile e verticale entro i 4 anni, ma a causa di televisione, divani soffici, sedie, scrivanie, computer, ecc. la colonna vertebrale toracica scivola indietro in una maggiore cifosi. Il risultato: raddrizzamento della lordosi cervicale inferiore con iperestensione C0-C1 compensativa, poiché gli occhi devono scrutare in orizzontale. Nella colonna lombare, troviamo uno scarso controllo della lordosi naturale con conseguente vulnerabilità del disco iv durante le attività della vita quotidiana, come sedersi, piegarsi, torcere, sollevare, ecc. Avere una colonna vertebrale toracica superiore rigida riduce anche la nostra capacità di attivare i flessori del collo profondo e persino gli addominali. Le vertebre liberamente mobili in questa area giunzionale, sono in grado di raggiungere l'equilibrio tra gli estensori e i flessori del collo profondo, che ironicamente, hanno origine nella regione medio-alta del torace. Sappiamo che con la rotazione cervicale, dovremmo apprezzare il movimento fino al T4. In genere, i pazienti con questa restrizione non perdono molto campo di movimento attivo. È stato dimostrato che esiste una significativa associazione tra la ridotta mobilità della colonna vertebrale toracica e la presenza di lamentele riportate dal paziente associate al dolore al collo. Cleland ha dimostrato che in alcuni pazienti la manipolazione della colonna vertebrale toracica ha fornito un trattamento efficace per i pazienti con dolore al collo. La mobilizzazione o manipolazione della colonna vertebrale toracica ha agito come una componente di un intervento multimodale dimostrando di essere efficace per il trattamento di pazienti con sindromi da impingement della spalla. In uno studio controllato, questo trattamento è stato determinato efficace da solo. Agendo come delle macchine compensatrici quali siamo, sviluppiamo segmenti in ipermobilità nella colonna cervicale inferiore di fronte a restrizioni della colonna vertebrale toracica superiore. Qui si applicano semplici principi d’ingegneria: “Abbiamo vertebre nella nostra colonna dorsale progettate per fornirci movimento in ogni segmento in tutti e tre i piani di movimento (trasversale, coronale, sagittale). Se così non fosse, avremmo una solida colonna ossea per proteggere il nostro midollo spinale; invece, la colonna vertebrale è segmentata e progettata per il movimento controllato. Quando il movimento è limitato in questa area di transizione chiave, forziamo la rotazione in segmenti non progettati per questa attività. Questo porta alla disfunzione segmentale e poi inevitabilmente su tutti i macro movimenti della colonna stessa”.
Nei pazienti più giovani, troviamo ernie del disco cervicale acuto più comunemente a C5-C6 e C6-C7. Invecchiando, il corpo fa una cosa intelligente. Poserà ossa o osteofiti nel tentativo di stabilizzare questa zona di ipermobilità. Questa è una risposta normale per un sistema cinematico mal funzionante. Il problema che presentano queste escrescenze ossee o osteofiti è che mentre risolvono la condizione di ipermobilità, spesso lasciano il paziente con canali foraminali stretti o stenosi spinale. La vera fonte di tensione muscolo-scheletrica nella colonna cervicale o lombare o nella cintura della spalla è la rigidità della colonna vertebrale toracica superiore. Naturalmente, quando il paziente si avvicina alla fine di questo spettro di disfunzione articolare, potrebbe essere necessaria una terapia aggiuntiva (iniezioni di steroidi epidurali, chirurgia, ecc.) Per il sollievo dai sintomi a lungo termine, il radicamento della causa, comunque, è fondamentale.
WHIPLASH e disfunzione sensopercettiva
Il whiplash è il risultato di un improvviso meccanismo di decelerazione che trasferisce energia alla colonna cervicale (Spitzer et al 1995).
Nei pazienti con dolore al collo e disturbi da colpo di frusta (WAD) sono stati descritti disturbi oculomotori (Heikkilä e Wenngren 1998; Kelders et al. 2005; Storaci et al. 2006; Montfoort et al. 2006, 2008; Treleaven et al. 2011; Ischebeck et al. 2016), che possono essere attribuiti ad un funzionamento cervicale alterato (Treleaven et al. 2006; Falla e Farina 2007; Kristjansson e Treleaven 2009; Hodges 2011).
Ricordiamo che per garantire una visione chiara, il riflesso vestibolo-oculare (VOR) e il riflesso cervico-oculare (COR) lavorano insieme per stabilizzare l'immagine visiva sulla retina. Il VOR riceve input dal vestibolo, rispondendo ai movimenti della testa nello spazio. Il COR riceve input dai meccanorecettori, principalmente dai fusi neuromuscolari e dai sensori articolari della colonna cervicale superiore (Hikosaka e Maeda 1973). Il COR risponde ai movimenti della testa rispetto al tronco.
È importante che i riflessi siano opportunamente adattati l'uno all'altro, anche in circostanze in cui uno di essi viene cambiato. Entrambi i riflessi sono in effetti piuttosto plastici, nel senso che si adattano a perturbazioni e cambiamenti di input. In laboratorio, è stato osservato che il VOR e il COR si adattano a input visivi e vestibolari perturbati sperimentalmente (Schweigart et al. 2002; Rijkaart et al. 2004; Montfoort et al. 2008; Yakushin et al. 2011). Tuttavia, si sa poco sull'adattamento dei riflessi agli input cervicali perturbati.
Un possibile approccio di lettura nel Movimento terapeutico
L’allenamento per la stabilizzazione nervosa è un metodo di esercizio che, come la sua controparte nella colonna lombare, è progettato per migliorare i meccanismi congeniti mediante i quali la colonna cervicale mantiene uno stato stabile e privo di lesioni. Ciò si ottiene attraverso una serie di esercizi che sono relativamente semplici dal punto di vista del tempo e dell'attrezzatura, ma sono fisiologicamente complessi. Per comprendere la stabilizzazione cervicale, è necessaria una breve rassegna dei meccanismi con cui la colonna cervicale mantiene la stabilità.
Il concetto di stabilità spinale (cambiato radicalmente negli ultimi anni) fu innescato principalmente da un importante documento di Panjabi, che descriveva ciò che mi piace definire stabilità dinamica. Le risposte dinamiche alla stabilità sono quelle che si verificano a seguito di perturbazioni: forze introdotte nella colonna cervicale che possono potenzialmente causare lesioni. Ciò si distingue dalla stabilità passiva, grazie alla quale la colonna vertebrale mantiene la stabilità attraverso i tessuti passivi come legamenti, dischi, ossa e capsule articolari.
Quando viene introdotta un'improvvisa perturbazione, il sistema nervoso deve rilevare la sua presenza, determinare le posizioni specifiche, l'entità e la direzione della risposta muscolare richiesta, verificare che tale risposta venga eseguita e monitorare il risultato. Se qualche aspetto di questo circuito di feedback è disfunzionale, potrebbero verificarsi lesioni. Questo meccanismo rappresenta il metodo generale con cui viene mantenuta la stabilità dinamica dell'intera colonna vertebrale. Quindi, quando si tratta di allenamento, ci sono alcune somiglianze tra l'allenamento della colonna lombare e del bacino per la stabilità e l'allenamento della colonna cervicale. I meccanismi di stabilità adeguati della colonna cervicale dipendono da un sistema di stabilità lombare e pelvica normalmente funzionante e viceversa, ma ci sono caratteristiche uniche della colonna cervicale che ci richiedono di apportare modifiche al nostro approccio all'allenamento per la stabilità in quest'area.
A differenza della colonna lombare, la colonna cervicale è una struttura che ha l'onere di portare la testa in giro. Deve mantenere non solo la stabilità intersegmentale ma anche la stabilità della testa. Lo scopo della stabilità della testa è sia quello di prevenire la caduta della testa durante i movimenti del corpo, sia di mantenere gli organi di senso in una posizione stabile per una funzione ottimale.
Per raggiungere questo obiettivo, deve esserci una relazione stabile tra il collo e la colonna vertebrale toracica e tra il collo e la testa. I muscoli più importanti responsabili del mantenimento di queste relazioni sono:
• i muscoli intersegmentali posteriori (multifidi e suboccipitali);
• i flessori cervicali profondi (longus capitis e colli);
• gli estensori cervicali / toracici superiori (semispinalis cervicis e longissimus cervicis).
La stabilità della colonna cervicale dipende anche in gran parte dalla stabilità della scapola e degli arti superiori. I muscoli più importanti nella stabilità scapolare sono: il trapezio medio e inferiore e il serratus anteriore. Pertanto, nell'allenamento di stabilizzazione, questi sono i muscoli che devono ricevere la massima attenzione.
C'è un altro aspetto della stabilità cervicale che lo differenzia da quello della colonna lombare: l'importanza della coordinazione occhio-testa-collo. Questa coordinazione è principalmente causata dai riflessi, in particolare il riflesso cervico-oculare, il riflesso vestibolo-oculare, il riflesso cervico-collico, il riflesso vestibolo-collico, il riflesso optocinetico, l'inseguimento regolare e le saccadi. Inoltre, come è stato affermato in precedenza, una buona stabilità lombare è essenziale per buona stabilità cervicale, così come i meccanismi di stabilità del piede.
La necessità di un uso efficace del tempo richiede di allenare solo quegli aspetti della stabilità cervicale che sono specificamente disfunzionali. Ciò è determinato da una serie di test clinici progettati per valutare ogni meccanismo che può influire sulla stabilità cervicale. Una volta identificate le disfunzioni specifiche, l'allenamento può essere mirato al problema specifico del paziente. Gli esercizi stessi sono progettati per ridurre al minimo la necessità di un coinvolgimento intensivo del tempo da parte del medico e una rapida transizione verso l'assistenza domiciliare. Ciò rende la riabilitazione più tempo ed economica per tutti gli interessati.
Gli esercizi sul pavimento possono essere utilizzati per migliorare la stabilità cervicale e scapolare. Il punto di partenza di base è addestrare il paziente ad eseguire uno schema di “tutoraggio” muscolare dove il paziente co-contrae i flessori cervicali profondi e gli estensori cervicali / toracici superiori inferiori. La padronanza di questa manovra di contrazione è essenziale per il successo dell'allenamento. I pazienti vengono quindi istruiti in una serie di movimenti degli arti.
Alcuni esempi di progressione in mobilità e stabilizzazione
Mobilità tratto toracico alto (primo set braccia tese, secondo set con gomiti in appoggio)
Rieducazione sincronizzazione scapolo omerale
Spinta retropulsiva
Attivazione muscolatura flessoria inibita post dolore cronico, mantenere per 2”a 5”ripetere per più set, compatibilmente con il quadro sintomatologico del paziente, se è presente dolore non far sollevare la testa ma attivare lo spot linguale (dietro incisivi mascellare superiore)e poi sollevare la testa, il dolore si attenuerà probabilmente.
Considerazioni finali
Spero che la mia volontà di farvi aprire un altro cassettino nel vostro voluminoso archivio di temi possa avervi soddisfatto; la mia reale spinta in questo articolo è sempre di generare maggiore chiarezza su alcune componenti posturali, ma anche tanta curiosità investigativa su come approfondire i concetti base sovraesposti.
Vi saluto augurandovi tanta serenità e tanta emozione positiva che fa bene al nostro cuore ma anche, come sapete, alla nostra postura!
* Osteopata D.o.m R.o.i - Docente FIF settore Postura, Laurea in Scienze Motorie e Specializzazione in Scienze e Tecnica dello Sport
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ORIZZONTI POSTURALI - La colonna vertebrale (parte 2): la lombalgia
Nella prima parte dell’articolo ho cercato di creare le fondamentali nozioni sulla colonna vertebrale, affrontando contenuti essenzialmente biomeccanici, che ci conducono ad una migliore comprensione sulle disfunzioni e disequilibri della nostra colonna, particolarmente in esiti post lombalgia… per la cervicalgia dovrete aspettare il prossimo articolo.
Tramite un approccio globale ma di sicuro interesse, oggi vi parlerò delle differenti strategie di contrasto della lombalgia attraverso tre livelli che dovremmo conoscere tutti:
• PREVENZIONE
• TRATTAMENTO
• MANTENIMENTO
Noi, specialisti sull’attività motoria, interveniamo sicuramente nella PREVENZIONE PRIMARIA (in assenza di patologia) e nel MANTENIMENTO, ed a seconda delle proprie qualifiche di professionalità nella PREVENZIONE SECONDARIA (con la comparsa dei primi esiti disfunzionali dello sbilanciamento muscolare, proponendosi di contrastarne la sua evoluzione).
Entriamo nello specifico
La prevenzione del dolore della colonna vertebrale viene sistematizzata dalle numerosissime revisioni Cochrane (sono definite revisioni sistematiche , veri e propri progetti di ricerca che sintetizzano e valutano criticamente tutte le prove disponibili in letteratura riguardo l'efficacia degli interventi sanitari. Si tratta di un'efficiente e valida fonte di informazione per professionisti impegnati in scelte di governo clinico, utili nell'orientare le attività mediche e infermieristiche, nell'educazione continua e nell'organizzazione dei servizi. il più alto riferimento di evidenza scientifica), grazie a queste analisi raccogliamo una deludente esposizione dei risultati ossia nessuna metodica dall’uso di esercizi, terapia manuale, terapia comportamentale, applicazione caldo e freddo, uso di farmaci, strategie alternative quali yoga, pilates e back school, nessuno di questi strumenti terapeutici e’ capace in maniera risolutiva di modificare la storia naturale del dolore, ancor di più se sensibilizzato a livello centrale (SNC), quindi cronico.
ATTENZIONE
Vi è allo stesso tempo una doppia considerazione, tali studi non riescono a ricreare e a codificare un’omogenea analisi sintomatologica ovvero, ogni lombalgia ha il suo percorso, ha la sua storia individuale, la mia esperienza da chinesiologo e poi da osteopata, mi porta a dire con convinzione che i nostri clienti, pazienti con dolore vertebrale ricevono benefici dal trattamento o dal programma di recupero funzionale, quando questo e’ in relazione diretta con le caratteristiche del singolo. La possibilità di raggruppare i pazienti in gruppi con rachialgie coerentemente omogenee e rappresenta la vera chiave di volta per il futuro di noi operatori e terapeuti. Detto questo, alla luce delle attuali evidenze ed in un ragionato buonsenso esperienziale, partiamo dal concreto primo suggerimento.
ERGONOMIA
Nel 1949 lo psicologo K.H.F. Murrel attribuì al termine il significato attuale della IEA (International Ergonomics Association) ossia dal greco “érgon”, che significa lavoro e “némein”, che significa amministrare, governare. È una scienza interdisciplinare che comprende l’antropometria, la biomeccanica, la medicina, la fisiologia del lavoro e dell’allenamento allo sforzo, la progettazione dell’ambiente e degli strumenti di lavoro, la progettazione delle abitazioni e dell’arredamento e l’educazione alla salute. Di conseguenza, lavorano nel campo dell’ergonomia ingegneri, architetti, medici e fisiologi del lavoro, fisioterapisti, terapisti occupazionali e laureati in scienze motorie, e operatori del movimento. I risultati delle ricerche ergonomiche sono fondamentali nel determinare i consigli e i sussidi utili per usare correttamente la colonna vertebrale; permettono di organizzare l’ambiente di lavoro, di studio (sedia, scrivania) e di scegliere correttamente l’arredamento (letto, cuscino, poltrona). Incluso anche quindi l’evitare o diminuire il rischio lesioni dovuto alla movimentazione dei carichi, studi approfonditi in tale direzione hanno mostrato che un intervento regolare su modifiche comportamentali ergonomiche, mantenendo viva l’attenzione sulle modalità di utilizzo ottimale della catena muscolare corretta, caviglia-ginocchio anca, migliora la funzionalità attiva piuttosto che con metodi terapeutici passivi. Tali approcci passivi rilanciano il sistema colonna vertebrale (fase acuta o post acuta), ma spesso senza innescare un strada di rieducazione neuro-funzionale appropriata, la parte terapeutica manuale rilancia il principio di autoguarigione di ogni sistema vivente che in molti casi non e’ sufficiente e va riprogrammata specificatamente... e il nostro operato vive e si organizza in questa border line…ed e’ fondamentale avere gli strumenti di lettura per aiutare correttamente il nostro cliente/paziente.
Le nozioni di Ergonomia aiutano il nostro intervento, queste le principali:
1) Fino a pochi anni fa la terapia più frequentemente prescritta in presenza di lombalgia acuta era il riposo a letto accompagnato dai farmaci analgesici e antinfiammatori. Si temeva che mantenere in carico una colonna sofferente rallentasse la guarigione. Ora la medicina basata sull’evidenza non ritiene più opportuno il riposo a letto perché è stato dimostrato che diminuire ogni attività rallenta la guarigione. L’inattività prolungata produce effetti negativi su tutte le strutture del rachide e sulle capacità fisiche: i muscoli si indeboliscono, le ossa vanno incontro ad osteoporosi, i legamenti diventano fragili, le cartilagini degenerano e la nutrizione del disco è scarsa.
Per questi motivi le indicazioni più utili in presenza di lombalgia e cervicalgia acuta sono:
• "stai in attività",
• "continua le normali attività quotidiane"
• "cerca di comportarti il più possibile normalmente e di muoverti senza provocare dolore".
Le strutture del rachide sono fatte per il movimento e hanno bisogno di movimento per mantenere la loro piena efficienza e funzionalità. La salute della tua colonna e’ nello svolgere le normali attività motorie quotidiane, lavorative, del tempo libero, ricreative e sportive.
Tuttavia, occorre fare attenzione perché i movimenti quotidiani eseguiti scorrettamente, aumentano il mal di schiena. Infatti, in fase acuta, in presenza di un blocco antalgico, i movimenti scorretti diventano impossibili.
Pertanto, è fondamentale precisare che occorre stare in attività con un uso corretto del rachide: le strutture del rachide mantengono la loro piena efficienza e funzionalità quando la colonna vertebrale viene usata correttamente. Pertanto se è vero che in presenza di lombalgia acuta è importante stare in attività e che l’uso scorretto e tra le cause più importanti di algie vertebrali: ne consegue che il miglior modo di prevenire e curare la lombalgia è stare in attività usando correttamente la colonna vertebrale. L’uso corretto permette a chi non possiede una colonna vertebrale perfetta, in presenza di scoliosi, ipercifosi, spondilolistesi, artrosi ecc. di condurre una vita pressoché normale senza alcun dolore.
Talvolta la presenza simultanea di diverse patologie del rachide (stenosi, spondilolistesi, ernia discale) ostacola la riduzione della lombalgia cronica e diventa difficile programmare una strategia efficace. In questi casi la miglior soluzione è l’uso corretto del rachide.
Fondamentale è:
- mantenere le curve fisiologiche della colonna vertebrale nelle posture e soprattutto durante gli sforzi;
- scegliere sempre le posizioni e i movimenti che provocano minore pressione sui dischi;
- evitare di mantenere a lungo posture statiche e cambiare frequentemente posizione;
- acquistare la consuetudine a svolgere attività motorie.
Una freccia decisamente importante presente nel nostro arco è la prevenzione con un adeguato, e personalizzato programma di lavoro muscolare per il trattamento del dolore cronico del tratto lombare della colonna vertebrale.
L’abilità, la conoscenza e l’esperienza di strutturare un programma di esercizi, alla luce della notevole quantità di studi che sono stati pubblicati sull’argomento pare ad oggi è la conclusione più concorde, all’interno delle molte revisioni scientifiche.
Fra le tipologie di programmi più usati per questi pazienti, una delle strategie più frequenti prevede l’aumento delle capacità funzionali della muscolatura del tronco con vocazione stabilizzanti (CORE).
Negli ultimi anni, gli studi che hanno affrontato questo argomento sono stati numerosi e sicuramente fra quelli che hanno destato maggiore interesse tra i professionisti sanitari e non che si occupano di lombalgia. Il classico schema di rinforzo della stabilità della colonna vertebrale ha sempre individuato alcuni muscoli come specifici bersagli del trattamento. Questi sono gli onnipresenti traverso dell’addome e multifido, sui quali sono stati eseguiti sufficienti trial da attribuirgli l’aura di muscoli stabilizzatori per eccellenza. E’ sempre stato abbastanza evidente che probabilmente le cose sono più complesse. il motivo consiste semplicemente nel fatto che, fino ad oggi, non sono stati ancora eseguiti studi che hanno indagato a fondo su altri comparti muscolari. Ragionevolmente, questi muscoli dovrebbero costituire le superfici interne dell’ipotetico contenitore muscolare capace di governare la stabilità della colonna lombare. Assodata la funzione dei due comparti super famosi che avvolgono la struttura sul piano traverso, ci mancano all’appello la base e la sommità. Mentre per la sommità si è sempre parlato dell’azione sinergica del diaframma, ancora troppo poco si è indagato sul comparto della base che, senza scendere nel dettaglio dei singoli muscoli, dovrebbe essere ragionevolmente costituita anche dal pavimento pelvico ,dalla gestione della rigidità dorsale che ne determina la posizione della testa. La considerazione d’analisi parte da uno screening attento di compartimenti disfunzionali, non solo sede della sintomatologia dolorosa, altrimenti non ne usciamo vincenti. Prossimamente affronterò’, sempre con prospettiva posturale, l’importanza del lavoro di stabilizzazione (SSV) ricordandoci di non sparare la parola core training come unica panacea, alla soluzione del mal di schiena.
Tavola anatomica/visione posteriore,collocazione muscoli stabilizzatori direttamente coinvolti
Per concludere diversi studi hanno dimostrato l'effetto degli esercizi nella riduzione di dolore e disabilità nella lombalgia e nella sua prevenzione.
Una delle scoperte recenti più interessanti in questo campo è stata che forme di esercizio differenti sembrano avere effetti simili sul mal di schiena. Nessuna tipologia specifica di esercizio sembra essere migliore delle altre in termini sia di trattamento che di prevenzione.
Secondo il ricercatore di Harvard James Rainville, l'impatto positivo dell'esercizio deriva probabilmente dalla sua influenza sul sistema nervoso centrale piuttosto che sui classici obiettivi degli esercizi quali forza, flessibilità, resistenza e propriocezione.
Il ricercatore John Booth ha notato che i miglioramenti in termini di dolore e disabilità in risposta agli esercizi sono spesso non correlati a miglioramenti della funzionalità fisica. Secondo J. Booth, ad influenzare dolore e disabilità potrebbero essere lo stato psicologico e cognitivo (paura, catastrofizzazione, self-efficacy), l'analgesia indotta dall'esercizio, gli adattamenti strutturali e funzionali del sistema nervoso centrale, piuttosto che la funzionalità.
Uno studio (Naugle KO, Pain, 2017) condotto su 51 adulti tra i 60 e i 77 anni ha analizzato il livello di attività fisica tramite l'utilizzo di un accelerometro e lo ha correlato con i risultati dei test condotti sulla modulazione del dolore condizionato con l'obiettivo di valutare l'abilità di inibire il dolore, e sulla sommatoria temporale, per misurare la capacità di facilitare il dolore.
I risultati hanno mostrato che livelli elevati di attività fisica da moderata a vigorosa sono associati ad una maggiore inibizione del dolore; allo stesso modo, il comportamento sedentario e un basso livello di attività fisica si associano ad una maggiore facilitazione del dolore. Questo studio fornisce la prima evidenza circa la relazione esistente tra l'attività fisica e il funzionamento del sistema endogeno di modulazione del dolore negli adulti sani, c'è tuttavia un forte bisogno di approfondire con ulteriori studi i meccanismi che stanno alla base di questa relazione.
Questo articolo pone alcuni capisaldi che spero possano aiutarvi nella gestione dei vostri clienti, e nell’apertura dei vostri orizzonti valutativi… maggiore curiosità, maggiore indagine e conoscenza..no? Per me funziona cosi…
Nel prossimo appuntamento, parlerò di cervicalgia, e di come poter osservare tale problema, da più prospettive…
Buona lettura!
* Osteopata D.o.m R.o.i - Docente FIF settore Postura, Laurea in Scienze Motorie e Specializzazione in Scienze e Tecnica dello Sport
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ORIZZONTI POSTURALI - I neuroni specchio e le importanti implicazioni nella didattica dell'educazione posturale e non solo!
LE SCIENZE MOTORIE DETTANO LE PRINCIPALI INDICAZIONI DA ATTUARE DURANTE LA DIMOSTRAZIONE DELLA “TECNICA DA IMITARE”
I neuroni specchio sono un argomento in cui non c'è nulla di banale; se ne sono infatti occupati la Piscologia, la Fisioterapia Riabilitativa, dagli esperti di Autismo, andandosi addirittura a fondersi con tematiche importanti come l'empatia.
È fondamentale addentrarsi nella conoscenza delle sue leggi e dei suoi complessi meccanismi per riuscire ad apprezzarne l'efficacia sull'apprendimento motorio attraverso una didattica mirata.
I neuroni specchio sono “un ciuffo” di neuroni motori scoperti all’inizio degli anni novanta del secolo scorso che consentono al nostro cervello di correlare i movimenti osservati a quelli propri e di riconoscerne “il significato”.
Da questa definizione si evince che il nostro sistema motorio non è più da considerarsi un mero esecutore passivo degli impulsi provenienti dagli organi di senso, quanto semmai un sistema adibito alla comprensione degli atti altrui, includendo la possibilità di codificare tipo, modi, tempi di realizzazione e anche l'esecuzione di un'azione. I neuroni specchio consentono quindi di capire la dinamica intenzionale del gesto, anticipando l'esito cui corrispondono i movimenti iniziali del soggetto osservato. Fondamentale per il riconoscimento dell'intenzione è il contesto in cui l'azione avviene. Il Focus del nostro articolo è l'apprendimento via imitazione, attraverso il quale l'allievo ha dunque la possibilità di imitare agevolmente nel momento stesso in cui il gesto da imitare fa parte del suo patrimonio motorio. E' importante dunque che le proposte tecniche di noi Istruttori /Educatori debbano tenere in considerazione questo fattore. E' di fondamentale importanza, per un apprendimento più rapido ed efficace, che i nostri allievi possiedano schemi motori di base già "strutturati", cioè esperiti quanto basta; tale importanza risiede nel fatto che più esperienze motorie sono state fatte, più a queste esperienze motorie si possono legare i nostri insegnamenti, anche specifici della disciplina, che diventano imitabili tanto più l'allievo ne riconosce il senso attraverso un rispecchiamento che avviene al suo interno, che però avviene agevolmente nella misura in cui ciò che viene osservato è in parte conosciuto, in parte dunque esperito, insomma familiare.
A tal fine le Scienze Motorie raccomandano di insistere sin dalla giovane età sulla cosiddetta multidisciplinarietà, vale a dire esercizi, “giochi” non sempre direttamente inerenti l'attività specifica, proprio per fornire agli allievi tutte quegli schemi motori di base ai quali se ne legheranno altri e sui quali costruire in un secondo momento le tecniche specifiche della disciplina.
L'imitazione è la possibilità di apprendere via imitazione ed è data dunque da un rivivere all'interno di noi stessi ciò che stiamo osservando, e questo può avvenire se c'è un patrimonio motorio, almeno in parte, condiviso; ne risulta chiaramente che in vero non si insegna mai qualcosa di completamente nuovo! In età scolare, in pochi eccezionali casi, si potrebbe incorre, in qualità di educatori al movimento, in qualche allievo che capisce e replica con spiccata immediatezza; si tratta di soggetti per i quali esiste la possibilità di apprendere per intuizione, per insight, una caratteristica che non può essere considerata la regola e che implica caratteristiche e meccanismi psicofisici poco comuni, spesso legati ad un patrimonio genetico peculiare di quella persona. Premesso ciò, è importante considerare che non sempre è opportuno ed efficace chiedere ad un allievo di imitare una tecnica: in quel momento potrebbe non essere in grado di riprodurla, né dal punto di vista motorio, né da quello attentivo, specialmente se quella tecnica non rispecchia il suo patrimonio motorio. I neuroni specchio, come già detto, ci danno la possibilità di codificare le intenzioni, e anche il risultato di un'azione, poiché, più che meri gesti staccati da un contesto specifico, i neuroni specchio codificano azioni.
A tale scopo le Scienze Motorie hanno stabilito alcune importanti indicazioni inerenti il momento in cui viene mostrata una tecnica da imitare:
1) Far vedere da subito la tecnica per intero senza frammentarla in submovimenti
2) Farla vedere alla "giusta" velocità, né troppo lentamente, né troppo velocemente
3) Far vedere la tecnica dalla "giusta" angolazione, cioè dalla prospettiva dalla quale poi l'allievo la dovrà ripetere
4) Dichiarare che quella tecnica andrà imitata, evidenziando l'obiettivo da raggiungere
5) Cosa avviene nell'insegnamento di un movimento "nuovo", che cioè non fa parte del repertorio motorio dell'allievo
6) La ripetizione dei movimenti e la memoria a lungo termine
7) Come agisce il sistema specchio sull'insegnante
8) Dare spiegazioni verbali chiare, che non siano troppe, e che focalizzino la loro attenzione solo nei punti salienti
9) Lo spazio peripersonale (SPI – Spazio Personale Immediato)
10) I metodi deduttivi e i metodi induttivi
11) Empatia e apprendimento
Analizziamo ogni singolo punto nel dettaglio al fine di creare la migliore strategia comunicativa didattica per un facile ed efficace apprendimento dei nostri allievi.
1- Far vedere da subito la tecnica per intero senza frammentarla in submovimenti
"I neuroni specchio sono interessati più all'obiettivo che al dettaglio"
I neuroni specchio codificano sempre “azioni” e una delle caratteristiche più stupefacenti è la loro capacità di discernere il tipo di azione osservata in riferimento allo scopo, ovvero di codificare le “intenzioni”. Mostrare quindi l'azione per intero dovrebbe aiutare a capire il senso dell'azione, cioà a comprendere l'intenzione di chi mostra l'azione ed infine di prevederne il risultato finale. Un ulteriore aiuto a comprendere le intenzioni dell'esecutore può essere il mostrare l'azione in un contesto generale più ampio. Posso mostrare dunque la tecnica per esempio in un contesto di postural training chiedendo solo di osservare, senza pretendere l'imitazione, ma con il solo scopo ottenere che in questa fase l'allievo si crei una prima immagine del movimento e ne comprenda il senso, il fine, lo scopo. Quando mostreremo la tecnica al fine di riprodurla la mostreremo da fermi, evidenziando pochi input salienti e cercando di portare a focalizzare l'attenzione degli allievi su di essi. Una delle evidenze sperimentali sui neuroni specchio ha mostrato che ogni neurone risponde ad un’intera azione e non a parti della stessa, questo lascia intendere che vi sia una naturale predisposizione ad apprendere unità di senso. Charles Edward Beevor (1854-1908) neurologo e anatomista inglese, oltre a svariate scoperte, coniò il cosiddetto "Assioma di Beevor" secondo cui il cervello non conosce il singolo muscolo e la sua azione, ma il movimento in generale. Ciò non implica che gli esercizi più analitici non debbano andare bene, ma semmai che vengano proposti successivamente, e soprattutto che ne venga via via chiarito il senso e lo scopo, così che l'allievo possa sempre ricollegare l'esercizio alla tecnica completa, cioè ad un'unità di senso compiuto. La corretta giustapposizione delle azioni di base può avvenire solo nell’ambito dell’esecuzione di un’azione complessa.
2- Dimostrare il gesto con la giusta velocità
Mostrare la tecnica alla giusta velocità, quindi né troppo lentamente né troppo velocemente è un ulteriore accorgimento per indurre una giusta percezione nell'allievo, in quanto, se la tecnica è mostrata troppo velocemente l'allievo può non fare in tempo a registrare l'immagine correttamente, lo stesso dicasi di un'esecuzione troppo lenta, che sfalsa la dimostrazione rispetto alla reale immagine che se ne intende dare.
3- Dimostrare il gesto dalla giusta angolazione
Far vedere la tecnica dalla "giusta" angolazione, vale a dire nella prospettiva dalla quale poi l'allievo la dovrà ripetere. Se l'Insegnante si pone frontalmente rispetto agli allievi, questi la ripeteranno dalla parte opposta, cioè in maniera speculare. E' dunque opportuno collocarsi dalla stessa angolazione dell'allievo, oppure far collocare gli allievi nella maniera giusta. Jakson, Meltzoff e Decety (2006), tre ricercatori impegnati da molto tempo nello studio dell’imitazione, da risultati di esperimenti hanno verificato inequivocabilmente che la prospettiva in prima persona è quella che determina la performance migliore, confermando così l’importanza della prospettiva nell’apprendimento motorio.
4- Dichiarare che la tecnica andrà imitata e non solamente osservata, evidenziando l'obiettivo da raggiungere
È stato sperimentato, attraverso movimenti sconosciuti al patrimonio motorio degli sperimenattori, che sapendo preventivamente che dovrò cercare di riprodurre quanto visto, l'attenzione si attiverà maggiormente rispetto a quanto si possa attivare durante la semplice osservazione di un atto, senza quindi avere la preoccupazione di replicarlo. Ne scaturisce che direzionando il focus attentivo su punti essenziali alla comprensione dell'azione, il sistema specchio viene maggiormente attivato, ma vengono implicati anche processi cognitivi di alto livello attivati dal sistema specchio che portano ad una memorizzazione più stabile della stessa azione. La conseguenza pratica è che l’esperienza motoria deve essere “significativa”, ovvero che il “senso”, quindi l’obiettivo, che l’azione persegue deve essere esposto chiaramente.
5- Consapevolizzare cosa avviene nell'insegnamento di un movimento "nuovo", che cioè non fa parte del repertorio motorio dell'allievo
Il sistema specchio si può attivare anche in presenza di movimenti estranei al nostro patrimonio motorio, creando a livello neurologico una prima immagine, una prima traccia del movimento, ma come detto sopra, ciò implica un'attivazione di processi cognitivi e attentivi che l'allievo deve poter mettere in gioco. La possibilità o disponibilità che riesca a fare quel gesto dipende in parte dalla volontà o meno di farlo, ma soprattutto dal grado di maturazione neurofisiologica che si ha a disposizione in quel momento.
In pratica i neuroni specchio nell'osservazione di un atto motorio non presente nel nostro repertorio si attivano prima spezzettando in più frammenti l'atto osservato, poi ricomponendolo nella sequenza temporale adeguata. "Ogni frame corrisponde ad un movimento già immagazzinato, che sia transitivo o non, e tramite la collaborazione di altre aree frontali, tutti questi frammenti vengono riassemblati per permettere poi la riproduzione del gesto motorio, definendo un nuovo pattern (modello) motorio. Appare dunque evidente come i processi attentivi siano importantissimi durante la visione dell'atto motorio."
Risulta chiaro che in questa fase l'insegnante può influire nel saper direzionare l'attenzione degli allievi, può essere determinante nel sostenere la loro motivazione, ma può anche imbattersi nei limiti motori, attentivi, cognitivi degli allievi, attraverso i quali capire se proseguire su quella strada o magari cambiare direzione, aspettando momenti più favorevoli, agendo nel frattempo in altri modi.
6- La ripetizione dei movimenti e la memoria a lungo termine
“L'apprendimento di una disciplina motoria risiede nella memoria a lungo temine”
Se il sistema specchio è adibito all'imitazione, creando un'immagine, una traccia neurologica di quel movimento nel nostro cervello, il movimento andrà poi sgrezzato, raffinato e perfezionato attraverso le ripetizioni, vale a dire l'apprendimento per prove ed errori.
Questo tipo di apprendimento, richiede una maturità neurofisiologica da parte dell'allievo, il quale si dovrà adoperare ad eseguire “ripetizioni consapevoli” al fine di riuscire ad apprezzare le correzioni dell'insegnante o meglio ancora al fine di autocorreggersi e non incorrere, attraverso una pura ripetizione meccanica, nel fissare errori o vizi motori, abitudini motorie, che saranno poi molto difficili da correggere poiché la traccia neurale creatasi da queste ripetizioni sarà comunque molto forte, magari correggibile, ma con una certa difficoltà.
L'apprendimento dunque non è ascrivibile unicamente al sistema specchio, ma anche al lavoro per prove ed errori, quello che aiuta a passare dalla coordinazione grezza alla coordinazione fine.
Tuttavia risulta altrettanto evidente che sia l'apprendimento via imitazione che quello per prove ed errori hanno un'efficacia comprovata se gli allievi sono neurofisiologicamente maturi per questo tipo di metodi.
Da sottolineare infine il ruolo l'importante dell'Area 46 di Brodmann, in particolare due funzioni di quest'Area:
- una è quella legata alla "ricombinazione dei singoli atti motori e della definizione di un nuovo pattern d'azione, il più possibile corrispondente a quello esemplificato dal dimostratore";
- l'altra è quella di "supervisore" del sistema specchio, che cioè inibisce o facilita l'attivazione del sistema specchio.
L'area 46 di Brodmann è dunque una specie di organismo "esecutivo" del sistema specchio, che "decide" dunque quando questo debba entrare o meno in azione.
7- Valutare come agisce il sistema specchio sull'insegnante
“Anche l’istruttore non si limita ad osservare il gesto di un allievo, ma lo ripete internamente”
Quando analizziamo un gesto in condizioni di attenzione e sufficiente competenza, infatti, contestualmente “carichiamo” e “facciamo girare” sul nostro sistema motorio il programma del movimento esaminato. Grazie all’azione dei neuroni specchio il movimento osservato viene «provato» internamente in maniera automatica. Si comprende come l'Insegnante competente, alla vista di un movimento dell'allievo, abbia, grazie al suo sistema specchio la possibilità di processare l'intero movimento comparandolo con il proprio (cioè rivivendolo al proprio interno) e da ciò scorgere gli errori o le imperfezioni, cioè tutti quegli aspetti che differiscono dalla propria esecuzione, che si suppone sia quella corretta. A tal fine e' di fondamentale importanza che l'Insegnante abbia molto chiaro quel movimento se vorrà apportare le giuste correzioni al movimento dell'allievo.
8- Dare spiegazioni verbali chiare, che non siano troppe, e che focalizzino la loro attenzione solo nei punti salienti
"Ogni atto linguistico è un ATTO COMUNICATIVO, cioè portatore di significato, esattamente come gli ATTI MOTORI FINALIZZATI"
(Attilio Rossi )
Generalmente predomina l'aspetto visivo, dunque va posta la massima attenzione sul fatto che le istruzioni verbali devono essere coerenti con quanto mostrato, altrimenti gli allievi rifaranno quel che vedranno e non ciò che udiranno, anche se quello che vedono contiene un errore. Le indicazioni verbali secondo le Scienze motorie devono all'inizio essere poche e concentrate su pochi aspetti della tecnica, senza insistere sui particolari che verranno proposti ed affinati successivamente. La possibilità di condividere, che si tratti di un gesto motorio o una parola, o un rumore, quindi di rispecchiarsi in essi poiché evocativi di un piano motorio, continua ad essere alla base del funzionamento del sistema specchio. Tanto più quello che dico, e come lo dico, cioè il mio linguaggio, si avvicina a quello dei miei allievi, tanto più essi potranno comprenderne i contenuti, cioè condividerne il senso, il significato.
Pensiamo a come sia più facile carpire l'attenzione dei bambini se la nostra spiegazione si riferisce a giochi, ad animali, ad ambientazioni cioè a loro vicine, familiari, conosciute, piuttosto che se mi esprimo con un linguaggio tecnico, più asettico o semplicemente descrittivo del movimento. Questo ci suggerisce che anche le nostre istruzioni verbali si possano colorare di contenuti a loro vicini, condivisi, nei quali appunto si possano rispecchiare, ritrovare, con i quali ci sia un'assonanza. Anche i rumori e i suoni possono facilmente attivare il sistema specchio: da studi fatti nel basket, ad esempio, c'è un riconoscimento di ciò che sta avvenendo in base alla percezione del suono del pallone, di come rimbalza, del suono dell'afferramento e così via.
Inoltre è importante tener presente che il livello di comprensione di un bambino è differente rispetto a quello di un adulto: l'adulto può poggiare su un pensiero astratto, ipoteticodeduttivo, capace di compiere operazioni complesse, di astrarre appunto concetti e applicarli, il bambino si basa su un pensiero meno complesso delle operazioni concrete, non essendo ancora capace di ragionare su dati presentati in forma puramente verbale. E' chiaro che noi Insegnanti dobbiamo operare una distinzione tra allievi adulti (comunque dall'adolescenza in poi) e bambini, adeguando ad essi il nostro linguaggio, le nostre spiegazioni verbali.
9- Lo spazio peripersonale
Lo spazio intorno a noi, sia quello più vicino, peripersonale, " a portata di mano", sia quello più lontano, cioè da raggiungere, assume significati diversi a seconda delle azioni che noi possiamo fare o pensare relativamente a questi spazi. Queste diverse percezioni di vicino e lontano possono variare a seconda delle possibilità d'azione che ho all'interno di questo spazio, rimodulando così il concetto di vicino e lontano, a seconda appunto dell'interazione con lo spazio e/o con gli oggetti in esso contenuto. La mia percezione ad esempio di una palla lontana cambierà al momento in cui la palla si avvicina.
La nostra possibilità di interagire con gli oggetti cambia la percezione dello spazio peripersonale ed extrapersonale, un pallone lontano, uno che si avvicina, uno vicinissimo, uno lanciato lentamente, uno lanciato velocemente... Perché lo spazio è anche qui, uno spazio di senso, è uno spazio che evoca azioni potenziali, è dunque uno spazio interpretato, a seconda delle nostre abilità motorie e a seconda della nostra disciplina di riferimento, o più semplicemente a seconda della nostra esperienza di vita.
10- I metodi deduttivi e i metodi induttivi
Parliamo dei metodi didattici e della possibilità di ricezione degli stessi da parte degli allievi.
Si tratta del Metodo induttivo e del Metodo deduttivo
Per rispondere a questa esigenza di seguito presentiamo una prima tabella in cui sono riportate alcune tra le più comuni sintomatologie riferite dai pazienti/clienti all'osteopata per ognuna delle quali indichiamo, in modo naturalmente generico, le principali integrazioni di supporto tecnico del Personal Trainer.
METODO INDUTTIVO | METODO DEDUTTIVO |
Della risoluzione dei compiti | Prescrittivo-deduttivo |
Della scoperta guidata | Metodo misto |
Della libera esplorazione | Dell’assegnazione dei compiti |
Sperimentazione - Osservazione - Comparazione Astrazione - Generalizzazione |
Spiegazione – Dimostrazione Esecuzione - Correzione |
Protagonista del processo di insegnamento apprendimento è l’allievo/atleta |
Protagonista del processo di insegnamento apprendimento è l’istruttore/educatore |
EDUCARE= TIRAR FUORI | EDUCARE= METTERE DENTRO |
Atteggiamento dell’allievo è attivo |
Atteggiamento dell’allievo |
Da questa tabella si può sintetizzare la differenza tra metodi induttivi e metodi deduttivi partendo dal presupposto che nei metodi induttivi la conoscenza parte dal soggetto, si dice "dal particolare all'universale", nei metodi deduttivi parte dall'oggetto, si dice “dall'universale al particolare”. Nei metodi deduttivi l'insegnante è al centro, detta il da farsi e come lo si deve fare, attraverso esempi, dimostrazioni da imitare. Nei metodi induttivi viene sostenuto un processo d'apprendimento più libero, dove lo svolgimento del compito è condizionato dalla soggettività dell'allievo, dove l'insegnante da' certamente delle consegne, ma lascia anche la libertà di eseguirle a loro modo. L'apprendimento via imitazione rientra ovviamente nei metodi deduttivi, in quanto si dà per buono che venga replicato, imitato un movimento partendo dalla realtà del movimento mostrato dall'insegnante, dunque dalla tecnica. Mentre nei metodi induttivi il processo è inverso, si arriva alla tecnica (o comunque ad un obiettivo da raggiungere) attraverso un processo di sperimentazione da parte dell'allievo. E' il processo, in questo caso, che ci interessa e che va sostenuto, anche cambiando le consegne di volta in volta.
11- Empatia e apprendimento
In psicologia, l'empatia è la capacità di porsi in maniera immediata nello stato d'animo o nella situazione di un'altra persona, con nessuna o scarsa partecipazione emotiva.
Nella critica d'arte e nella pubblicità, è rappresenta la capacità di coinvolgere emotivamente il fruitore con un messaggio in cui lo stesso è portato a immedesimarsi.
Nelle scienze umane, dunque l'empatia designa un atteggiamento verso gli altri caratterizzato da un impegno di comprensione dell'altro, escludendo ogni attitudine affettiva personale (simpatia, antipatia) e ogni giudizio morale. Fondamentali, in questo contesto, sia gli studi pionieristici di Darwin sulle emozioni e sulla comunicazione mimica delle emozioni, sia gli studi recenti sui neuroni specchio scoperti da Giacomo Rizzolatti, che confermano che l'empatia non nasce da uno sforzo intellettuale, è bensì parte del corredo genetico della specie.
Perché l'empatia dovrebbe interessare noi istruttori/educatori?
Un insegnante, qualsiasi materia insegni, non potrà in alcun modo non dare anche informazioni su se stesso, su cosa prova, su quello che è. Gli attori sanno bene questo, per poter comunicare devono poter mettere gli spettatori in una situazione empatica.
Paul Watzlawick, un'autorità nella trattazione della comunicazione umana, ci dice che "è impossibile non comunicare", spiegando che la comunicazione ha sempre due aspetti, quello che riguarda la notizia, e quello che riguarda la relazione. Benchè il compito di insegnante imponga di insegnare una qualsiasi materia, non avverrà mai solo questo. I fattori umani che abbiamo citato sopra, fanno si che un insegnante possa venire percepito come simpatico, antipatico, affabile, autoritario, despota, disponibile ecc.; l'insegnante quindi verrà riconosciuto e connotato anche, o forse soprattutto, per le sue caratteristiche umane, oltre che per la sua competenza o meno nella materia che insegna.
Dunque, se noi insegnanti possiamo fare leva sulle capacità empatiche dei nostri allievi, e sulle nostre, per facilitarli nel loro compito di apprendere, possiamo considerare altrettanto seriamente l'altra faccia dell'empatia, quella per cui i nostri allievi molto spesso saranno portati a imitarci anche nelle nostre convinzioni, nei nostri valori, in quello che realmente noi siamo e manifestiamo. Essi si vedranno attraverso i nostri occhi... Una persona che entra a fare parte di un gruppo ha bisogno di essere accettata, e per essere accettata ne deve condividere i valori portanti. Questo comportamento nasce da un fattore biologico: iniziamo con la famiglia, a fare nostro il modello educativo della famiglia non certo per una scelta ragionata e ponderata, quanto per la necessità biologica di fare parte del nostro sistema familiare, poiché quella famiglia ci ha generati, cresciuti, nutriti, accuditi, per cui, a livello profondo è come se il sistema familiare fosse indiscutibile. E' l'istinto di sopravvivenza che ci porta ad adattarci, quello che dai primordi dell'umanità ci ha portati a costituirci in gruppi sociali per poter meglio affrontare le insidie del mondo, perché il genere umano, se fosse stato costituito da singoli individui e non da gruppi non sarebbe sopravvissuto di certo. Oltretutto nasciamo in un primo gruppo sociale naturale, che è appunto quello della famiglia, per cui noi siamo biologicamente predisposti a stare con gli altri, e per fare ciò rinunciamo ovviamente ad una parte, a qualche parte della nostra individualità. Il nostro problema, diciamo il nostro fulcro di interesse sta nel fatto che quando l'apprendimento non riguarda più la sopravvivenza in sé per sé, quando l'insegnamento fa propri anche certi precetti educativi, ci possiamo porre la questione che riguarda la nostra personale influenza sui singoli e sul gruppo, tenendo ben presente , che ci piaccia o no, che SIAMO DEI LEADER E DETENIAMO UN POTERE.
Rossini parla di due maniere, di due stili di potere, di due visioni, una la definisce PRETESA DI DOMINIO, l'altra l'ETICA DEL SERVIZIO.
La Pretesa di dominio parla di un potere che si autoalimenta, che si accresce nel rapporto con gli altri, che si autoconserva e tende a mantenere la propria posizione dominante.
L'etica di servizio viceversa lavora per fare crescere l'effettivo valore degli altri, implicando con ciò una riduzione del proprio dominio, è un potere questo che paradossalmente rema contro se stesso. E' orientato a formare un individuo il più possibile libero e consapevole.
L'arma vincente che può delineare il successo di un educatore sta nella possibilità di scegliere!
Che si tratti di scegliere un metodo didattico, uno stile di conduzione di potere, un atteggiamento da usare nelle più disparate occasioni, tale capacità di scelta fa parte non solo della competenza di un insegnante in quanto portatore di una materia, ma anche e soprattutto nel suo essere persona educante, che come tale avrà una grande influenza,sui propri allievi, sui propri allievi e sulle generazioni a venire.
Conclusioni
Riepilogando...
- Abbiamo evidenziato che se si parla di apprendimento per imitazione al momento in cui l'imitazione non è immediata o comunque relativamente facile (come nel caso di imitazione di movimenti in parte conosciuti, cioè che appartengono almeno in parte ai programmi motori dell'allievo), subentrano processi attentivi e cognitivi importanti, sui quali gli allievi devono poter fare leva.
- Abbiamo altresì aggiunto che imitare non basta, poiché all'imitazione deve poi seguire l'esercitazione, l'apprendimento per prove ed errori, che anch'esso presuppone una maturità da parte dell'allievo, che deve di volta in volta "controllare" il movimento e non ripeterlo automaticamente.
- Abbiamo infine visto come tutto ciò non sia sempre nella disponibilità dei nostri allievi, non tanto perché siano malevoli, maleducati o distratti, quanto semmai perché non hanno ancora maturato quei processi neurofisiologici, attentivi e cognitivi che sottendono a questo tipo di apprendimento. Perciò, per un insegnante, sembrerebbe opportuno ed efficace poter fare leva anche sui metodi induttivi, che partono dalla realtà dell'allievo e su di essa si conformano, attraverso esercizi mirati che siano adatti al loro livello, alle loro reali capacità. Non perché, ovviamente, i metodi deduttivi siano sbagliati, quanto perché a volte sembrano non essere efficaci, sembrano non essere la via migliore per arrivare ad un risultato.